Con la vittoria di Pirro alle ultime elezioni per l’Asemblea Nacional, dove il partito di Maduro si è accaparrato 256 dei 277 deputati a causa del boicottaggio delle opposizioni (ha votato circa il 30% degli aventi diritto), si è conclusa definitivamente la breve carriera di Juan Guaidó come leader e quindi presidente ad interim del Venezuela. Il fatto era nell’aria, visto che ormai l’organo di cui era presidente ha mutato decisamente di colori politici, allineandosi alla dittatura e perdendo la propria funzione di opposizione interna ad essa.
C’è da dire che i suoi poteri erano ormai bypassati anche da una sentenza della Corte Suprema venezuelana, che nel maggio scorso lo aveva accusato di tradimento e di conseguenza ha dichiarato valido il giuramento prestato dal deputato Luis Parra, che il 5 gennaio, con i voti delle opposizioni e del Partito Socialista Unito si era proclamato presidente dell’Assemblea.
Una delle tante farse politiche che continuano a contraddistinguere la dittatura venezuelana che in pratica gioca con la Costituzione del Paese per darsi una parvenza di legalità nella tragedia che vive ormai da lustri , ma a ciò ha decisamente contribuito la mossa delle elezioni svoltesi con minacce continue agli elettori fatte dai vari organi del potere, ma specialmente del numero due del potere, Diosdado Cabello, che ha in pratica sostenuto come chi non avesse votato avrebbe perso i sussidi e gli aiuti alimentari.
Ad un certo punto l’opposizione si è schierata per l’astensione al voto e il fatto ha dato seguito ad un risveglio internazionale sulla questione venezuelana, visto che la gran maggioranza della popolazione si è astenuta dal presentarsi ai seggi elettorali, ma anche alla “vittoria di Pirro” di cui sopra.
Ora la situazione si complica ulteriormente perché in pratica, seppur sostenuto sia dall’Ue che dagli Stati Uniti, la posizione di leader riconosciuto del regime venezuelano di Guaidó perde di una carica che, sebbene senza più alcun potere, gli permetteva uno status più marcato dell’attuale, dove secondo alcune fonti l’ex leader rischierebbe ogni giorno di essere arrestato, cosa che la dittatura minaccia ormai da tempo ma, almeno così sembrerebbe, si astiene dall’eseguire.
Ed è chiaro pure il perché: in queste condizioni Guaidó conta veramente come il due di picche, ma arrestarlo significherebbe restituirgli una importanza che da tempo non detiene, e difatti gli appoggi di cui gode contano quanto lui, ma non vanno assolutamente contestati, pena un ritorno le cui conseguenze sarebbero negative per il regime.
Oltretutto su di lui pende da marzo un’accusa per tentato colpo di Stato inscenata dal procuratore generale William Saab: chi lo accusa è Cliver Alcalà Cordones, un ex ufficiale in pensione che a fine marzo scorso si è consegnato in Colombia nelle mani della Dea (Drug Enforcement Administration, l’ente antidroga statunitense) accusato di addestrare mercenari in campi clandestini situati a Riohacha, in Colombia, e di tentare di contrabbandare armi di vario calibro in Venezuela. Nel corso di una intervista concessa ad una radio locale (almeno così sostiene Saab), Cordones si è dichiarato responsabile di un tentativo di colpo di Stato in Venezuela operato alle direttive proprio di Juan Guaidó, che si sarebbe alleato con quello che viene definito il “nemico pubblico numero uno del Venezuela”, alias J.J. Randon, un consulente politico ora negli Usa dove ha chiesto e ottenuto asilo.
Insomma, il povero Guaidó è altresì investito da una catena di accuse che ne limitano ancora di più l’autonomia politica ed in pratica lo mantengono in ostaggio del regime: negli ultimi tempi poi si era allontanato da Trump e le sue politiche e ora il tutto è nelle mani del nuovo presidente Usa Biden che, sebbene abbia dichiarato la sua avversione al regime di Maduro, non ha chiarito come gli Stati Uniti si comporteranno , se mantenendo l’embargo dichiarato da Trump oppure scegliendo altre strade che, si mormora, escluderebbero la figura di Guaidó come tramite. Ma va da sé che la situazione, e soprattutto la soluzione del problema venezuelano, appare sempre più difficile perché seppur con i suoi difetti ed errori e non più dotato di un potere di aggregazione popolare come quello di anni fa, Guaidó è l’unica figura che ancora può permettersi di traghettare il Paese verso quelle elezioni finalmente libere che possano restaurare una democrazia nel Paese. Risolvendo il problema di un regime che però gode ancora di un sostegno sia dalla Cina che dalla Russia, pure se quest’ultima con la sua bega “interna “del controllo politico dell’Ucraina pare disposta a scambiare l’influenza Usa su questa faccenda con quella russa in Venezuela.
Uno scacchiere come si vede abbastanza complesso nel quale si giocano interessi geopolitici ed economici ingenti, di cui l’ostaggio Guaidó costituisce una figura che può sempre essere utile agli interessi in un futuro che appare incerto e legato a politiche attualmente poco chiare.