Mentre la situazione in Venezuela si fa ogni giorno più tragica, le manifestazioni che avevano come epicentro le basi militari non hanno praticamente avuto seguito. Secondo alcuni osservatori, la stanchezza inizia a farsi sentire, ma intanto il regime di Maduro organizza raduni militari, con la sua presenza, al solo scopo di mostrare una forza che però di fatto rischia in ogni momento di ridursi anche a causa delle trattative tra Usa e Russia anticipate ai lettori del Sussidiario.
Avevamo anche anticipato la deduzione che ormai arrivata a superare la soglia della disperazione, la popolazione fosse disposta a qualsiasi cosa pur di uscirne: e ormai siamo li, perché l’erogazione di energia elettrica è legata alla resistenza di 3 turbine (delle oltre 40 a disposizione) riparate letteralmente con filo di ferro (immagini mostrate dal regime). Stessa cosa per l’acqua, che ormai, specie negli immensi quartieri popolari, deve essere trasportata con bidoni nelle case, al solo uso igienico, mentre quella potabile deve essere acquistata da camion cisterna.
Questi importantissimi dati portano a un’ulteriore riflessione: la tattica fin qui usata da Maduro è sempre stata quella di allungare i tempi delle varie trattative all’infinito. Ma ormai, come ripetiamo, siamo alla frutta e i sondaggi mostrano chiaramente che il regime è giunto al crepuscolo: solo il 7% della popolazione lo appoggia. Ma un altro dato rivela gli umori della popolazione: l’88% dichiara che la soluzione della questione potrà arrivare solamente da aiuti esterni.
Chi scrive ha conosciuto personalmente Guaidó nel corso della sua estemporanea visita a Buenos Aires: l’impressione che ne ho avuto è quella di una persona estremamente decisa e soprattutto lontana dallo stereotipo, affibbiatogli da certa “sinistra” nostrana (e non solo), di un pupazzo nelle mani degli Usa. Nel corso della conferenza stampa, ma anche in un breve dialogo personale, si è interrotto più volte tradito dall’emozione.
Stiamo parlando dei giorni immediatamente successivi all’operazione dei soccorsi umanitari che poi è miseramente fallita a causa dell’ostracismo mostrato dal regime: l’altro ieri è stato intervistato da Repubblica. Dialogo incentrato soprattutto sulla strana posizione dell’Italia nella questione venezuelana, sulla quale però il Presidente ad interim ha risposto in maniera prevedibile (e da noi anticipata), considerando che in pratica il riconoscimento espresso, finalmente, dal nostro Paese aderendo a quello che si può considerare l’accordo sottoscritto a Montevideo, riguarda l’Assemblea nazionale, ma è implicitamente rivolto anche a lui, che di quell’organo è il prodotto di un’elezione.
Dato interessante: Guaidó ha confermato che il chavismo ha di fatto finanziato i vari movimenti europei populisti che lo sostengono, cosa che d’altronde si sapeva da tempo. Non ha fatto riferimento ai 5 Stelle, sui quali non dispone di dati precisi, ma a ogni modo ha ribadito e pregato il nostro presidente Matttarella di impegnarsi affinché la questione venezuelana possa avere un rapido sbocco, anche perché gli interessi italiani nel Paese sono notevoli, non solo per la presenza di industriali del nostro Paese o di esso originari.
Basti pensare che l’Eni ci sta rimettendo in maniera notevole, fatto dovuto alla crisi petrolifera in atto, frutto della diminuzione del 70% della produzione a causa della mancanza di mezzi di raffinazione del greggio. Ormai il prezzo della benzina non esiste e la contrattazione si fa direttamente al distributore anche perché in generale, a causa dell’inflazione, non circola più denaro vista l’impossibilità di poter trasportare le ingenti quantità che servirebbero, ad esempio, per poter fare la spesa.
Nel corso dell’intervista, pur confermando il fallimento delle ultime manifestazioni, ha dichiarato che “l’Operazione Libertà” continua perché il regime di Maduro è in stato terminale, rivelando che ormai il dittatore risiede in un luogo segreto avendo perso il controllo sia dei servizi segreti che del suo intorno.
Insomma, la situazione dovrebbe essere arrivata al punto di rottura finale e un altro dato è certo: l’Italia, nella rinascita venezuelana, non avrà una posizione di partner di riferimento nel processo.