Anche il deputato venezuelano Americo De Grazia ha chiesto asilo all’Ambasciata italiana. Contemporaneamente altri due suoi colleghi facenti parte dell’Assemblea nazionale, unico organo riconosciuto a livello internazionale, hanno chiesto ospitalità all’Ambasciata argentina. È un sintomo ormai riscontrabile della paura che domina tra i mandatari, regolarmente eletti, di una Assemblea completamente esautorata nei suoi poteri dal dittatore Nicolas Maduro. Che ha annunciato la messa in opera di quello che lui definisce “Fujimorazo”, espressione usata anni fa per decisioni repressive prese dall’allora Presidente del Perù, Fujimori, contro parlamentari che si opponevano al suo potere. Poi lo stesso Presidente dovette fuggire nel suo Giappone originario perché coinvolto in scandali di corruzione e di violazione dei diritti umani per aver usato squadre di militari nella repressione costellata di omicidi. Successivamente venne arrestato, condannato a 25 anni e amnistiato nel 2017.
A dire il vero Maduro ha parlato di un “fujimorazo” a rate e la prima l’ha subito messa in opera togliendo l’immunità parlamentare a 29 deputati e ordinando l’arresto di alcuni per “tradimento alla patria, cospirazione, istigazione all’insurrezione, incitamento alla ribellione civile, usurpazione di funzione pubblica, disobbedienza alla legge e istigazione continuata all’odio”. Decisione presa dall’Assemblea nazionale costituente, l’organo legislativo messo in piedi dal dittatore, ma non riconosciuto come tale a livello internazionale.
A partire dalle denunce è iniziata una caccia all’uomo sistematica che ha portato, come ripetiamo, diversi deputati a rifugiarsi nelle Ambasciate di vari Paesi. Curioso il caso di Americo De Grazia, che si stava occupando non solo di indagare sui collegamenti tra narcotraffico e dittatura, ma pure di possibili legami tra traffici illeciti di esponenti del Governo venezuelano ed eventuali finanziamenti a forze politiche straniere.
Prima di rifugiarsi nella nostra Ambasciata, De Grazia, intervistato dal quotidiano italiano Il Foglio, dopo che senatori dei 5 Stelle avevano espresso il loro plauso al suo eventuale arresto, ha commentato “c’è sicuramente non conoscenza dei fatti, in molta gente che parla di Venezuela. Ma forse anche complicità in affari. Specialmente da parte dei 5 Stelle”. In qualità di Segretario generale della commissione Energia, Miniere e Petrolio dell’Assemblea nazionale, De Grazia stava indagando su conti depositati ad Andorra e su un misterioso carico di Coltan (il prezioso minerale, essenziale ingrediente di componenti di elettronica sofisticata, di cui il Venezuela è uno dei leader mondiali nella produzione) sequestrato tempo fa nel porto di Trieste.
Come si vede un quadro estremamente complicato per il nostro Paese, ma non solo per le accuse mosse da De Grazia nell’intervista citata. Il Primo ministro Conte, in risposta a un appello di Guaidó che esortava l’Italia a prendere una posizione netta sulla questione venezuelana, pur assicurando di “seguire con attenzione la situazione critica con grande partecipazione e coinvolgimento emotivo” ribadisce in un’intervista concessa a La Stampa di non averlo riconosciuto quale Presidente ad interim (eletto per decisione dell’Assemblea nazionale che però l’Italia riconosce, ndr), anche se Maduro rimane privo di legittimità diplomatica. Che dire, un altro classico della politica del nostro Paese.
Il deputato dell’Assemblea nazionale German Ferrer, attualmente rifugiatosi in Colombia, ha affermato che la decisione di togliere l’immunità parlamentare punta decisamente a preparare il terreno all’arresto di Guaidó, fatto che finora non viene eseguito per timore alle reazioni internazionali che potrebbe innescare. Guaidó nel frattempo ha commentato: “Non hanno il popolo e non possono camminare con la nostra gente, e l’unica opzione della dittatura è di agire nel cuore della notte per segnare le case dei nostri dirigenti. Questo sabato continuiamo a scendere in strada, combattendo con tutte le opzioni per porre fine alla dittatura”. Aggiungendo anche che a questo punto della situazione non si opporrebbe a un intervento militare straniero.
Nel frattempo la tragica situazione del Venezuela si arricchisce di un aspetto, già anticipato ai lettori del Sussidiario, ma ora testimoniato da diversi canali televisivi latinoamericani: il prezzo della benzina. In pratica il prezioso combustibile viene regalato, visto che un pieno costa “la bellezza” di 0,173 centesimi di dollaro. Sì, avete capito bene: una decisione che farebbe felicissimi molti abitanti di questo nostro mondo e che potrebbe essere presa per un pesce di aprile giornalistico, vista la sua metafisica, è invece il sintomo di un Paese dove ormai il denaro non circola quasi più. Dove per ricevere la borsa alimentare a un prezzo politico, come la benzina, bisogna avere una specie di tessera annonaria, visto che il prezzo di mercato di un solo componente il pacco equivarrebbe all’intero stipendio mensile di un impiegato.
Nel frattempo il silenzio diplomatico sulla trattativa in corso tra Russia e Usa, che ha per epicentro lo scacchiere mondiale, e di conseguenza anche la crisi venezuelana, continua ed è difficile prevedere a questo punto i tempi occorrenti affinché il Paese possa uscire dall’inferno in cui è immerso ormai da tanto tempo.