Due giornalisti argentini mi mostrano una specie di mattone composto da biglietti da 500 pesos dell’altezza di una ventina di centimetri: sono banconote venezuelane di un valore equivalente a circa 15 dollari. Mi vengono alla mente le immagini di una tragedia simile vissuta in Europa all’epoca della Repubblica di Weimar, che alla fine portò nella Germania al trionfo del nazismo. Ma anche quelle di una città, Caracas, e di una nazione, il Venezuela, la cui tragedia ha ormai superato ogni limite immaginabile e nella quale ormai la disperazione è arrivata a unire un’opposizione al regime di Maduro in maniera talmente forte che la paura della morte operata dagli squadroni dei “colectivos”, ma anche da polizia e milizie “popolari”, sta per essere superata e si è disposti a seguire qualsiasi cosa pur di uscire dall’inferno che vent’anni di populismo hanno creato.



I movimenti che da circa una decina di giorni agitano le piazze in manifestazioni che si susseguono ai quattro angoli del Paese e che quotidianamente si scontrano con le forze armate del regime con gravi bilanci di perdite umane, hanno veramente bisogno di un aiuto che può solo venire a livello internazionale e soprattutto evitando ulteriori e gravi spargimenti di sangue.



Mentre Leopoldo Lopez, con un mandato di cattura a suo carico, continua a risiedere nell’Ambasciata spagnola senza però poter operare a livello politico, cosa che gli hanno proibito le autorità iberiche, Juan Guaidó, il Presidente ad interim eletto dall’Asemblea Nacional, ha indetto manifestazioni che questa volta prenderanno di mira i militari, svolgendosi davanti alle loro caserme e guarnigioni.

La “Operacion Libertad”, che sembrava naufragata, nella sua connotazione pacifica invece prosegue: più passano le ore e più cala la maschera su quanto veramente accaduto in questi giorni, visto che si è saputo che Cilia Flores, la moglie del dittatore Maduro, è fuggita dal Paese rifugiandosi a Santo Domingo, in una villa di proprietà del marito del valore di 18 milioni di dollari. È stata trasportata lì con un aereo Bombardier russo a dimostrazione di come, in effetti, il regime si stia sfaldando e ormai non ci sia più spazio per il protrarsi del suo potere. Finora specialmente la Russia ha supportato, con l’intelighenzia cubana in ogni dove, il carico di mantenere il potere nelle mani del regime, ma proprio in questi giorni si sta arrivando a quella che dovrebbe essere la soluzione finale del problema.



Già tempo fa avevamo segnalato che in Vaticano erano iniziate trattative con la partecipazione dell’interlocutore più importante, la Russia, per cercare una soluzione diplomatica alla questione. Le stesse si erano però arenate ma di fatto, dopo il clamore internazionale suscitato dai disordini divampati in Venezuela, la situazione è tornata a essere seriamente discussa a livello diplomatico, però attraverso altri interlocutori rispetto a quelli ecclesiastici: gli Usa.

È chiaro che quello che più preme a Putin è rientrare dei grossi investimenti effettuati e gli Stati Uniti si sono resi disposti a pagare circa 20 miliardi di dollari per liquidare la questione: ma allo stesso tempo avverrebbe uno scambio di altra natura. La non interferenza americana nella questione della Corea del Nord, lasciando mani libere ai russi. Il raggiungimento di questi scopi produrrebbe la ritirata immediata dal Venezuela del suo alleato più importante e quindi ciò rafforzerebbe in maniera notevole la spinta libertaria di Guaidó.

C’è pero da dire che questa importante evoluzione della situazione non calcola minimamente la presenza di altri due poteri, attualmente presenti nel Paese caraibico: quello del narcotraffico e quello della Cina, che in Venezuela di miliardi di dollari ne ha investiti una cinquantina. Ma con i cinesi ci sono da tempo trattative con Guaidó e quindi da questo punto le soluzioni si dovrebbero concretare in breve tempo, visto anche che il cosiddetto “gruppo di Lima”, che in pratica riunisce i principali Paesi latinoamericani, sta spingendo verso questa soluzione, calcolando che la Cina ha interessi notevoli anche nelle loro nazioni.

Insomma, la diplomazia pare iniziare a funzionare come dovrebbe per porre fine, una volta per tutte, a un regime che ha distrutto uno dei Paesi più ricchi del mondo.