La questione dei cosiddetti “vitalizi” bene illustra il corto circuito tra politica e narrazione. Le Camere, con atto non legislativo, hanno deciso di ridurre tali benefici, ivi compresi quelli spettanti agli ex parlamentari. Molti di questi ultimi, lamentando vizi di varia natura, hanno presentato ricorso ai “giudici interni” alle stesse Assemblee. Al Senato, l’apposito organo composto da parlamentari (per la maggior parte) e da esperti di diritto, ha accolto il ricorso e annullato la decisione. Anche se la Presidente del Senato ha ricordato che la decisione è appellabile presso un ulteriore organo, il Consiglio di garanzia, la politica tutta è subito insorta, protestando vivamente. La polemica sulla “casta” è tornata improvvisamente d’attualità, e già si considera sicuro l’esito del contro-ricorso: il Consiglio di garanzia ripristinerà il taglio dei vitalizi.



Tutto bene? No, tutto male. Male che non si rispetti l’autonomia decisionale degli organi competenti. Male che si confonda il merito della questione con il metodo seguito e con le singole misure adottate. Male che non si comprenda il valore dell’autonomia delle Camere. Male che una specifica decisione di natura politica sia messa a confronto con il dramma nazionale dell’emergenza sanitaria e della gravissima crisi che ne sta seguendo. Male che la questione dei vitalizi sia considerata come una battaglia esemplare della lotta contro la “casta”. Come se i rappresentanti selezionati dai cittadini costituiscano, di per sé stessi, un “ceto” da combattere, allontanare, mettere ai margini della collettività. Come se la democrazia producesse scarti umani socialmente ributtanti.



Sino a quando, da noi come negli altri Stati democratici, prevarrà una narrazione così brutale, e così capace di imporsi sull’opinione pubblica riducendo al silenzio ogni voce critica, sarà difficile ripristinare la leale competizione politica. Sarà difficile mantenere nelle nostre coscienze l’idea – indispensabile in un sistema liberale – che il diritto e la giustizia non sono strumenti del potere, ma limite e condizione del corretto esercizio dell’autorità. Del resto, se proprio qualcosa questa difficile stagione ci sta insegnando, è la necessità assoluta di non subire mai e passivamente il pensiero unico digitalmente diffuso. 



Adesso, fare appello al senso di ragione, alla moderazione del linguaggio e dei toni, alla serietà del confronto, può apparire vano. In ogni caso, è insufficiente. Soltanto il costante rispetto della legalità, nella pratica quotidiana di ogni cittadino, tanto più se dotato di poteri pubblici, può essere d’aiuto. Occorre voltare pagina, ripartire dalle basi senza inutili sofismi e banali retoriche, insegnare ai nostri giovani la capacità di resistere alle tante sirene della corruzione. Il rischio è che la politica assomigli sempre più ad un tendone da circo, senza leoni, per carità, ma con tanti clown e un solo grido all’entrata: “Venghino, signori, venghino!”.