Altre due Regioni – Toscana e Campania – in zona rossa, e tre – Emilia-Romagna, Marche e Friuli-Venezia Giulia – in quella arancione. Intanto i contagi aumentano, ma l’Rt cala e l’impressione è che il governo voglia andare verso un lockdown senza però dichiararlo, trincerandosi dietro l’opacità degli indicatori utilizzati per monitorare l’epidemia. “Il governo ha evitato di prendersi le sue responsabilità anche quando l’algoritmo non c’era” osserva Luca Ricolfi, docente di analisi dei dati all’Università di Torino e presidente della Fondazione David Hume. Che non esita a puntare il dito contro mistificazioni, errori e ritardi inanellati e accumulati dal Conte 2 in questi mesi di emergenza sanitaria ed economica. Il verdetto è lapidario: “Sono certo che è e sarà un disastro”.
Sei regioni rosse e nove arancioni. Secondo lei, il governo si nasconde dietro a un algoritmo per non assumersi la responsabilità di un nuovo lockdown?
Sì. Ma il governo ha evitato di prendersi le sue responsabilità anche quando l’algoritmo non c’era. Lo scaricabarile fra governo e Regioni è in atto da mesi, oggi l’algoritmo aiuta un po’ di più il governo a spostare il baricentro dello scaricabarile a danno delle Regioni.
In questa lunga emergenza da coronavirus quanto ha pesato, e pesa tuttora, il rimpallo di responsabilità fra Stato centrale e Regioni? È possibile venirne a capo?
Stato centrale e Regioni non sono mal coordinati fra di loro, sono entrambi dotati di burocrazie incapaci di far arrivare i provvedimenti a destinazione. Sono inefficienti le Regioni, non tutte ma molte, ed è estremamente inefficiente lo Stato.
L’Italia “tricolore” del Covid la convince?
Se c’era da zonizzare era durante la prima ondata e se c’è da fare un lockdown unico è adesso.
Perché?
Perché i dati dicono che il differenziale di circolazione del virus fra Nord e Sud era enorme a marzo ed è molto ridotto oggi, dato che il virus è diffuso ovunque. Quindi il governo, sette mesi fa come adesso, ha sempre fatto il contrario di quel che andava fatto.
Sta dicendo che andrebbe fatto un lockdown generale?
Penso che al punto in cui siamo arrivati sia inevitabile farlo. Ma il problema che vorrei evidenziare è un altro.
Quale?
Premesso che nelle sue decisioni il governo non fa mai un chiaro riferimento a quel po’ di letteratura scientifica che c’è, è impossibile stabilire cosa andrebbe davvero fatto, visto che il governo ha secretato i dati, li tiene per sé. Ha il monopolio sulla conoscenza della situazione.
Quali sarebbero le informazioni fondamentali da rilasciare?
Primo: avere almeno la disponibilità quotidiana dei dati, ora pubblicati a livello regionale, anche a livello provinciale e soprattutto comunale. Con questi numeri si potrebbero pensare lockdown mirati, circoscritti, granulari. Secondo: ottenere, dato totalmente assente anche a livello nazionale, il numero di ingressi in medicina generale e in terapia intensiva.
Ma ogni giorno il bollettino della Cabina di regia ci informa sui pazienti ricoverati…
Così fingono di darci quel numero. Mi spiego: immaginiamo di avere un laghetto. Se questo laghetto ha un affluente e un emissario di eguale portata, il laghetto rimane costante. Ma questo non significa che non ci sia un immissario che porta acqua al laghetto.
Fuor di metafora?
Lo stesso vale per gli ospedali e le terapie intensive: ci comunicano ogni giorno il saldo dei ricoveri, cioè la differenza fra gli ingressi e le uscite, ma non gli ingressi in ospedale, e questa è una gravissima limitazione, perché per capire quanto galoppa il virus avremmo bisogno del numero di ingressi, non del saldo.
In effetti, sui 21 indicatori utilizzati da Cabina di regia e Cts è scoppiata la polemica, perché si paventa che i dati comunicati dalle Regioni siano errati, incompleti o inattendibili. Lei che idea si è fatto di questa griglia? È utile?
Buona parte di questi indicatori sono il tipico portato di una burocrazia sanitaria che vuole fare monitoraggio interno, cioè sono dati relativi non a quello che succede, ma all’efficienza delle Regioni nella trasmissione delle informazioni. Di sostanziosi e utili ce ne sono cinque o sei, altri sono molto confusi, per esempio quello sulle persone addette al contact tracing, oppure assurdi. Manca però la cosa fondamentale: abbiamo gli ingredienti, ma non la ricetta, cioè il governo non ha reso pubblico l’algoritmo che li processa e li trasforma in decisioni (giallo-arancione-rosso). insieme. Insomma, è una colossale mistificazione che si vuol far passare come trasparenza. Ma la trasparenza è ben altro, vuol dire mettere i dati online, leggibili, ben strutturati e accessibili a tutti senza chiedere permesso.
In questa seconda ondata il governo dà l’impressione di essere stato colto di sorpresa, anche se era prevedibile e attesa, visto che l’autunno è stagione favorevole alla circolazione dei virus respiratori. Dove si è sbagliato di più o dove si è perso più tempo?
Presumibilmente il governo non aveva capito che arrivava una seconda ondata.
Addirittura?
Sono degli sprovveduti. E me ne sono convinto perché il ministro Speranza questa estate ha dato alle stampe un libro auto-elogiativo, che poi ha dovuto ritirare perché strideva fortemente con quello che stava accadendo. Tutto il ceto politico ha capito tardi che sarebbe arrivata una seconda ondata. E, psicologicamente, è stato in condizione di capirlo solo dal 22 settembre.
Perché una data così precisa?
Fino al 21 settembre, data delle elezioni regionali, la loro narrazione non poteva che essere ottimistica. Solo dopo il voto hanno potuto prendere in considerazione anche un racconto meno ottimistico.
Il governo Conte 2, giudicato debole e raffazzonato, ha tratto qualche “vantaggio” da questa emergenza così prolungata?
Sì. Al di là del fatto che era un governo comunque blindato, perché il presidente della Repubblica non ha intenzione di sciogliere il Parlamento e sono sicuri di arrivare fino al 2023, una ragione c’è: se non ci fosse stato il coronavirus, avremmo avuto una normale dialettica, l’opposizione avrebbe potuto votare in Parlamento, indire manifestazioni di piazza e al centro di tutto ci sarebbero stati la politica economica e il tema dell’immigrazione.
Invece?
L’arrivo del Covid ha reso l’emergenza sanitaria così importante che tutti ci siamo concentrati su quella. E fino a cinque-sei settimane fa il governo ne ha tratto beneficio perché gli italiani hanno visto nel presidente del Consiglio una figura protettiva che con i Dpcm guidava la barca fuori dalla tempesta. Poi, quando Conte ha mostrato il volto benevolente, con il “liberi tutti” di questa estate a risarcimento per i duri sacrifici sopportati dagli italiani durante il lockdown, il consenso è ulteriormente salito. Ancora adesso il ministro Speranza, che in questa emergenza si è spesso barcamenato e ha sbagliato quasi tutto, è l’uomo politico più popolare del paese, se la batte con Conte, Zaia e Meloni. Ma in un paese normale sarebbe stato costretto a dimettersi. E poi non va sottaciuto un altro fattore fondamentale che ha aiutato in misura decisiva a far crescere il consenso verso il governo: i mezzi di comunicazione di massa.
In che modo?
Il sistema dei media, anziché stare addosso al potere, ha avuto un rapporto di deferenza: fino un mese fa non ha permesso che si manifestassero critiche severe e continuate nei confronti dell’azione di governo. Se avessimo avuto un sistema dei media efficace, il governo non avrebbe potuto permettersi di trascurare completamente le 10 cose che non ha fatto e che sono oggetto della nostra petizione. Anzi, sarebbe stato sollecitato a occuparsi di medicina territoriale, tamponi, trasporti e tutto il resto. E forse avremmo salvato migliaia di vite.
Come giudica l’operato del commissario straordinario Arcuri?
Ha due responsabilità: la prima, di aver fatto tutte le gare e gli approvvigionamenti in gravissimo ritardo; la seconda, di avere barato sui dati dei tamponi, perché per mesi ha assecondato comparazioni inappropriate sul fatto che l’Italia era il paese che eseguiva più tamponi quando invece era vero il contrario.
La prima ondata è stata affrontata con grande concordia. Ora gli italiani sono stanchi, sfiduciati e arrabbiati. Consenso e risultati del governo rischiano di precipitare?
Sul consenso, penso che il governo ne perderà un po’, ma la questione è aperta. Non abbiamo un’opinione pubblica ben funzionante, quindi può anche succedere che un governo sbagli quasi tutto e la maggior parte degli italiani non se ne accorga. Il governo potrebbe contenere la caduta di consenso se funzionerà la campagna sul vaccino, che è il grande espediente mediatico con cui sta cercando di recuperare il consenso e di far digerire il lockdown.
E sui risultati?
Sono certo che è e sarà un disastro. Aver fatto, dopo i primi 35mila morti, altri 10mila morti in tre mesi lo considero un disastro. Ma il vero disastro è sull’economia. Un lockdown, come consiglia il Fondo monetario internazionale, deve essere tempestivo e molto forte: noi l’abbiamo fatto tardivamente e diluito, quindi molto più lungo. Adesso si sta ripetendo lo stesso errore commesso a marzo, con l’aggravante che è la seconda volta: abbiamo perso ancora una volta un mese.
Sullo sfondo, al momento latente perché lacerante per la maggioranza, c’è un problema strettamente legato a questa duplice emergenza: i fondi del Mes sanitario. Vanno presi o no?
Ero contrario al Mes, prima che venisse modificato il Trattato, perché la condizionalità c’era ed era pesantissima, naturalmente partendo dall’assunto che essere commissariati dall’Europa non è il massimo. Adesso sembrerebbe avere condizioni diverse, ma sul Mes mi dichiaro agnostico.
Cosa intende dire?
Che si può prendere o non prendere, è irrilevante. Non è vero che se avessimo preso il Mes la sanità sarebbe a posto, perché le difficoltà a spendere e a varare provvedimenti efficaci le avremmo avute comunque e i soldi bisogna dimostrare di essere capaci di allocarli al meglio. Anziché mettere risorse nel bonus monopattini e altre assurdità del genere, bastava investirle per sistemare la sanità. Non è quindi una mancanza di soldi, è che al governo combinano pasticci. Va ricordato, infine, che i soldi del Mes sono debiti che pagheranno i nostri figli e i nostri nipoti.
L’emergenza Covid sta lasciando profonde cicatrici sul nostro tessuto economico. Riusciremo a sanarle?
Assolutamente no. Già a inizio marzo temevo un calo del Pil del 15%. Il governo ha stanziato finora più di 100 miliardi in modo assistenziale e non è neppure stato in grado di farli arrivare tutti a destinazione, cioè di spenderli. Bisognava fare in modo che le imprese non chiudessero o fossero messe nella condizione di riaprire dopo il lockdown. Non si può pensare di tamponare un’emergenza di tale portata solo con sussidi. A questo errore, che rispecchia la mentalità dei governi sedicenti progressisti, si è aggiunta la seconda ondata, il che significa che avremo un terzo trimestre bloccato. Un’altra botta. Così, anche assumendo che ne usciremo presto e che non arriverà una terza ondata, ci ritroveremo con una base industriale ridotta di un quarto.
Non c’è un modo per venirne fuori?
L’unico è cambiare completamente le regole del gioco: permettere a chi fa impresa di non soffocare sotto adempimenti, tasse e debiti della Pubblica amministrazione non pagati. Ma questo governo non è in grado di fare questa scelta di buon senso. Passeremo da una società signorile di massa a una società parassita di massa, dove una minoranza ancora più piccola di quella attuale lavorerà e una maggioranza vivrà di sussidi, ovviamente modesti perché non ci saranno risorse per tutti.
(Marco Biscella)