Concludiamo oggi il racconto della storia di Enrico Keppel (qui la prima puntata e qui la seconda), uno dei protagonisti del mondo del turismo italiano, un vero capitano coraggioso.

L’avventura di Marispica

Nei primi mesi del 1989 fu proposta all’ingegnere Luigi Batolo la vendita di Capo Calavà: c’era un possibile compratore, che voleva restare nell’ombra. Dopo varie discussioni, decidemmo che si poteva fare, visto che ormai eravamo impegnati nella costruzione di un altro villaggio e che servivano nuovi capitali per ultimarlo. Il compratore, si seppe poi, era la famiglia Agnello, che stava entrando anche nella Gioiosa Spa: furono quindi cedute le azioni dell’ingegnere Batolo e di suo fratello Dario, che costituivano la maggioranza del pacchetto, ma non assoluta, mentre sia io che Marina Batolo restavamo nella società. Con l’ingegnere e Marina proseguimmo a costruire il villaggio, che battezzai Marispica: le quote erano di noi tre e di IGV, che aveva l’esclusiva di vendita dei soggiorni. Verso la fine dell’anno l’ing. Batolo morì. Andai a Gioiosa Marea dove si tenne il funerale, e raggiunsi poi Capo Calavà, dove tenni un discorso in sala congressi a tutto il personale, per tranquillizzarlo: la famiglia Agnello aveva grandi capitali che garantivano il proseguo per una ottima gestione. Sergio Corvi lasciò Calavà per altri compiti e gli Agnello mi chiesero un consiglio su chi poteva dirigere il villaggio. Risposi che se loro si fossero occupati della parte amministrativa, potevano tranquillamente affidarsi a Gino Agnello, scarpe grosse ma cervello fine. Così fu, con successo.



Gli Agnello, visti i risultati economici incoraggianti, chiesero a Keppel di cedere le sue quote azionarie di Gioiosa Spa: ne volevano raggiungere la maggioranza assoluta. Non dovettero aspettare molto, e la transazione fu portata a compimento, suscitando la furia di Marina Batolo, che aveva sperato di potere rientrare un giorno a Calavà: senza le quote di Keppel, le sue rimanenti adesso risultavano ininfluenti, e in breve anche quelle finirono in casa Agnello, ma senza alcun deprezzamento. Keppel continuò comunque a occuparsi del villaggio: fece anche riattivare la grotta di Enea sotto il roccione Calavà, che divenne una delle attrattive del villaggio, dove si poteva andare a ballare la notte senza disturbare chi voleva riposare. Keppel faceva la spola con Marispica, dove svolgeva gli stessi incarichi di Calavà, un’impresa che divenne sempre più difficilmente sostenibile. Dovette dimettersi e lasciare le redini a Gino Agnello, per concentrarsi solo su Marispica.



Nel 1995 Marina Batolo mi convinse a cedere a IGV la mia quota sociale, anche se l’affare finì col causarmi una perdita secca. IGV divenne l’unico proprietario di Marispica, ma feci in tempo a consigliare e nominare Giorgio Pini quale direttore: la sua carriera è stata lunga e positiva, e ancora oggi ricopre la sua funzione. Ricordo ancora una serata organizzata da IGV per gli agenti di viaggio, con festa danzante e spettacolino. Ci si divertì parecchio, anche se per me quella serata fu il mio addio all’avventura Marispica, praticamente nello stesso momento in cui finivo anche quella della gestione del Villaggio Colostrai in Sardegna, visto che Francesco Battaglia aveva deciso di cederlo a Eden Viaggi.



Nel frattempo, ero venuto a sapere che a Capo Calavà il padre di Salvuccio Agnello aveva cominciato a costruire camere dappertutto, eliminando anche il campo da tennis centrale che tanto successo aveva regalato in lunghe serate di tornei. Le dimensioni del villaggio stavano cambiando, si era passati da 600 ad oltre 1.000 posti letto. Alla morte del padre, Salvuccio prese poi in mano la gestione del villaggio.

Keppel non si ferma. Archiviata l’avventura di Marispica, accettò la proposta di Marina Batolo per investire nella costruzione di un villaggio su un bel terreno, a circa 20 chilometri da Marispica, un villaggio che prenderà poi il nome voluto da Marina: Baia Samuele. Keppel chiamò in Sicilia Ravi Goonaratne, per aiutare nella direzione del nuovo resort, affidato a Roberto Giardina, il compagno di Marina Batolo, alla sua prima esperienza. Ravi tornò presto nello Sri Lanka con la fidanzata Primarosa, una ragazza conosciuta nel villaggio, dove era la commessa della boutique. Si sposarono nello Sri Lanka e vissero a Colombo, ma tornarono varie volte in Italia, dove ci incontravamo quasi sempre, tranne l’ultima volta, quando fui impedito dalla malattia di mia moglie. Ravi però si sentì offeso, a tal punto da interrompere ogni altro nostro contatto. Non ci siamo più sentiti.

Fu un periodo di grandi fermenti, nel mondo del turismo, anche tra i grandi operatori. I Grandi Viaggi venivano venduti a Luigi Clementi, che come prima iniziativa pensò bene di rinunciare alla partnership con Keppel, per gestire in proprio tutti i villaggi che avevano seguito insieme, salvo il villaggio Colostrai in Sardegna, che Keppel continuò a gestire per vent’anni, fino al fallimento del Club Aquarius.

Nel 1995 ero andato in Kenya, invitato da un amico che mi fece vedere un terreno fronte mare, adattissimo, tanto per cambiare, per costruire un villaggio. La IGV, con De Lorenzi, un manager di cui godevo grande fiducia, inviò subito un acconto per l’acquisto. Cominciò così la costruzione di quello che divenne il Blue Bay, villaggio che gestii per un anno, lasciando poi il timone a Gaetano Bonavita. Per mio conto, acquistai un terreno vicino a Malindi, dove costruii un residence chiamato Marafiki (in keniota vuol dire amici). Vi costruii per me una grande villa fronte mare dove invitavo amici italiani, e altre che vendetti a conoscenti, con guadagni consistenti, soldi che mi permisero di saldare l’acquisto del terreno. Volli poi tornare in Sicilia, per seguire la gestione di Baia Samuele. Nel 1999 vendetti il residence Marafiki ad un italiano che viveva in Kenya: fui pagati con effetti che in seguito, in Italia, risultarono inesigibili.

Tornato poi a Baia Samuele, constatai che i magri incassi di Marina Batolo non erano sufficienti per onorare i debiti con le banche: il fallimento era alle porte. Così convinsi Luigi Clementi ad acquistare il villaggio, il più bello della zona, che divenne così il fiore all’occhiello de IGV. Marina potè saldare i debiti, ma sia lei che io chiudemmo la transazione in perdita. Marina poi riuscì ad assicurarsi un terreno quasi confinante con Baia Samuele, dove creò un villaggio e alloggi indipendenti, nella zona più alta. Il villaggio, Marsa Siclà, distava due chilometri dal mare, dove però poteva disporre di una spiaggia bellissima. Lo vendette poi ad Alpitour, che ne ha fatto un resort di alto livello (Voi Hotel), mentre lei si tenne le ville in alto, per affitti stagionali.

Di fatto, non avevo più interessi in Sicilia, così cominciai a fare diversi viaggi a Sharm el Sheik, dal 2000 al 2014. A Milano avevo conosciuto lo sceicco Omar, che mi invitò nuovamente a Sharm per vedere un terreno di sua proprietà, confinante con la villa del Presidente egiziano e con un villaggio Valtur. Il terreno si rivelò molto bello, fronte mare, così decisi di collaborare alla costruzione di un nuovo villaggio turistico. Sorsero così 60 camere, con ogni comfort, e una hall, la reception, il ristorante, una piccola arena spettacoli, una piscina. Iniziai a gestirlo io stesso, con personale tutto italiano, con anche un mio ex animatore siciliano, Antonio Gennuso, al quale affidai il reparto escursioni. Il villaggio ebbe subito un grande successo, molto frequentato da una clientela raffinata. Ma dopo pochi mesi lo sceicco licenziò tutto il personale italiano, direttore compreso, sostituendolo con egiziani incapaci. Fu il crollo: il villaggio fu subito disertato dalla clientela prima abituale, e rimase totalmente vuoto. Andò praticamente in rovina, e in breve venne distrutto.

Il ritorno in Italia

Nuova delusione e nuovo rientro in Italia. Ma, come si dice, si chiude una porta ma si apre una finestra. A Keppel nel gennaio 2006 fu offerta la gestione di un albergo nell’isola di Capraia, La Mandola. Proposta accettata, ed eccolo da subito al lavoro per migliorare la destinazione, con la creazione di una piccola spiaggetta sotto l’albergo, e la chiamata di un direttore di fiducia. La concorrenza però era tanta e i clienti non erano moltissimi. Keppel cercò aiuto anche da Bruno Colombo, presidente del Ventaglio, ma il risultato non arrivò mai. Dopo due anni, l’accordo per La Mandola fu sciolto, e Keppel lasciò l’incarico, peraltro senza alcun ristoro.

Non avevo più le risorse per onorare i canoni d’affitto del villaggio Colostrai in Sardegna. Feci fallire il Club Aquarius, pur preoccupandomi di pagare tutto il personale che aveva fino a quel momento lavorato per me. Ero alla fine di una lunga parabola: nullatenente, con la casa pignorata, una pensione di 1.300 euro e un emolumento da Calavà.

E questo è tutto. 

(3- fine)

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