Continuiamo a raccontare la storia di Enrico Keppel (qui la prima puntata), uno dei protagonisti del mondo del turismo italiano, un vero capitano coraggioso.
I mal d’Africa, d’Oriente e di Sicilia
C’è il mal d’Africa, ma c’è anche il mal d’Oriente. Keppel soffriva di entrambi. Nel 1960 un viaggio di piacere a Ceylon (dal 1972 Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka) si trasformò in un innamoramento dell’isola, ma con un occhio sempre attento al business. In breve Keppel iniziò ad organizzare gruppi settimanali con viaggio e a seguire il circuito dell’isola. Quando arrivò a Sri Lanka per la prima volta, andò a dormire in un resort dove conobbe il vice direttore, Ravi Goonaratne, che divenne suo amico, tanto da accompagnarlo poi nel proseguo del viaggio. Proprio a Ravi Keppel dette l’incarico di accompagnare i gruppi che mandava nello Sri Lanka, spesso dopo un soggiorno alle Maldive. Vi fondò anche un piccolo villaggio fronte mare, il Club Villa, per chiudere le vacanze dei turisti con qualche giorno di relax al mare. Per il turismo, Ceylon del 1960 era terreno praticamente vergine. L’iniziativa di Keppel fu quindi particolarmente seguita e apprezzata. A Colombo, la capitale, a ogni suo arrivo lo andavano ad accogliere con i cartelli “welcome” e con qualche elefante bardato a festa.
Non solo Ceylon, ma tanto Oceano Indiano, con le sue perle, le Maldive. Keppel affittò addirittura un’isola, Little Hura, e poco dopo Bathala, una piccolissima isola con un’appendice artificiale dove s’affacciano i bungalow sull’acqua, ancora in costruzione, che poi affidò a IGV per la commercializzazione. Grandi Viaggi la reclamizzarono anche al BIT di Milano, convincendo una quantità di clienti, anche se l’isola non era pronta. Fu salvato da Gianni Conti, direttore di Halaveli, che aiutò a proteggere la clientela di Bathala. Keppel finì con l’occuparsi della gestione del resort di Halaveli, e spostò i contratti in essere con IGV da Bathala ad Halaveli.
Tornò successivamente nello Sri Lanka, dove prese in affitto un altro villaggio, il Club Paradise ad Aluthgama, dove assunse Gianni Conti quale direttore. Halaveli continuò quindi la sua attività, per un certo tempo sotto l’ombrello de IGV.
Nel 1970, tornato a Milano, Keppel uscì da Mondorama, ottenendo capitali da reinvestire in Sicilia. Fondò anche l’agenzia di viaggi Keppel Tour, sede in piazza Duca D’Aosta, e il Club Aquarius srl, che tra l’altro fu incaricato di gestire il villaggio Capo Calavà (in pratica incaricò se stesso). Per “Enrico” era un periodo di crescita continua, un successo che attirò le attenzioni di un grande gruppo come I Grandi Viaggi, che nel 1972 lo cooptò come partner nelle gestioni. Keppel già si occupava di Capo Calavà, ma con la forza di IGV il suo campo d’azione s’allargò a Kenya, Sri Lanka, Repubblica Dominicana, Messico, Egitto, Maldive. Tutti impegni che si trasformavano in consistenti utili, che Keppel reinvestiva nel completamento della costruzione del villaggio a Calavà, tenuto gelosamente solo per sé: stavano sorgendo le camere, la cucina, il ristorante finalmente in muratura. In uno dei numerosi viaggi in Kenya, un grande appezzamento in una location affascinante, in riva all’Oceano, attirò la sua attenzione: lo propose a IGV quale nuovo investimento. Nacque così il villaggio Blue Bay a Watamu, vicino a Malindi, tuttora esistente. Keppel si fermò lì per circa un anno, per il lancio iniziale, poi non resistette più al richiamo della Sicilia.
La clientela dei 12 tucul collocati a Capo Calavà cominciava a fruttare i primi guadagni. Ancora non avevamo una cucina, in costruzione, ma solo alcuni tavoli e sedie: ci si doveva arrangiare. Io andavo al camping La Pineta, acquistavo chili di fritto misto, che diventavano i pasti dei nostri clienti. All’epoca non esisteva ancora la strada attuale per scendere al villaggio: si doveva affrontare una mulattiera ripida su auto poco adatte al fuoristrada, con buona pace del pesce fritto, che finiva coll’insozzare tutto l’abitacolo.
L’ingegnere Luigi Batolo, che ci aveva venduto il terreno, stava a guardarci, verificando i nostri sforzi e i nostri successi, tanto da innamorarsi del nuovo villaggio. Ci chiese di poter divenire socio nella gestione, portando ulteriori capitali e dando un forte contributo creativo. Dividevamo gran parte degli utili fra di noi, spesso in contanti. Erano davvero altri tempi. Il villaggio si ingrandì giorno dopo giorno: dopo aver creato l’arena spettacoli, nel 1973 introdussi per la prima volta in Italia l’animazione, copiata poi dalla concorrenza. Nel frattempo, avevo fondato Gioiosa spa, con sede a Messina, ne ero azionista e presidente. Dal 1970 in poi il villaggio era sempre super gremito, soprattutto grazie alla mia agenzia Keppel Tour e al Club Aquarius. Come Gioiosa Spa, allargai le gestioni acquisendo il villaggio Capo Alaua, Villa Giulia nel comune di Gioiosa Marea, e il villaggio Testa di Monaca nel comune di Capo d’Orlando.
Tra arresti e rapimenti
Negli anni fra il 1973 e 1975 il villaggio Capo Calavà raggiungeva una capienza di circa 250 posti, “riforniti” da voli charter che Keppel aveva organizzato con Itavia, su Catania e Palermo. All’epoca le autostrade non esistevano: dall’aeroporto, più o meno sia da Fontanarossa (Catania) che da Punta Raisi (Palermo), per raggiungere il villaggio servivano quattro o cinque ore, ma i turisti non si facevano scoraggiare. Direttore del Calavà fu nominato Riccardo Gozzi, mentre Keppel, assecondando la sua vena istrionica, da vero affabulatore, s’era ritagliato il ruolo di capovillaggio e capo animatore: tanti lo ricordano ancora ogni sera, in arena, col microfono in mano. Non era solo spiaggia e mare: il villaggio proponeva già escursioni via terra a Taormina, Cefalù, Tindari e via mare alle isole Eolie (Lipari, Vulcano, Panarea e Filicudi), spesso con lo stesso Keppel quale accompagnatore, in tandem con altri collaboratori, come Olivo Turi e Gino Agnello. Negli anni a seguire il villaggio raggiunse la capienza di circa 600 posti, con impegni moltiplicati, che portarono alla sostituzione di Gozzi con Sergio Corvi, un professionista di esperienza, al quale furono affidate anche le assunzioni del personale, tranne gli animatori, che Keppel selezionava personalmente. Per la copertura dei 600 posti letto, però, il solo Club Aquarius non bastava più: Keppel concesse l’esclusiva di vendita a I Grandi Viaggi di Milano.
Keppel continuava a gestire il villaggio con l’ingegnere Batolo, con cui ripartiva gli utili. In seguito, nel 1982 fu proposto a Batolo la realizzazione di un villaggio nella Sicilia Meridionale, comune di Ispica. Andarono insieme a vedere la zona, che Keppel però giudicò subito inadatta: si trattava di un terreno sabbioso, spazzato continuamente da un vento sostenuto, fastidioso. Tornati alla base, l’idea comunque fece strada in Batolo, che decise di procedere comunque, visto che il terreno veniva offerto gratuitamente e si poteva in più contare su una sovvenzione consistente, ottenibile piuttosto facilmente grazie all’impegno dell’on. Salvatore Stornello, sindaco di Ispica e deputato in Parlamento. Batolo convinse Keppel a diventare socio di capitale nell’impresa e aprì il cantiere mettendo all’opera anche la nipote, allora giovanissima, Marina, che stava studiando architettura. Keppel si impegnò subito nella costruzione di un muro perimetrale, intorno al terreno, per contenere la sabbia, e divenne poco dopo amico dell’onorevole, con il quale trascorreva lunghi pomeriggi a giocare a tennis. Lo fece invitare anche da IGV a una crociera, che andò benissimo, tranne che, una volta tornata in porto la nave, il deputato fu arrestato…
Mi sembra fosse il 1971, quando fui cercato da Pier Paolo Mazzella, uno dei figli dell’industriale Attilio, che fu poi rapito e ucciso. Pier Paolo era venuto a conoscenza delle mie attività e della fortuna delle mie gestioni turistiche: mi pregò di raggiungerlo in Sardegna per valutare una villa di famiglia, posizionata su un bel terreno dove desiderava rinnovare un villaggio. Io lo accontentai, andai in Sardegna e progettai l’insediamento da zero, con l’assistenza di un architetto. In breve cominciammo a costruire quello che poi diventerà il nuovo villaggio Telis. Il destino di quella famiglia, però, fu tragico: Pier Paolo Mazzella morì investito da un camion, suo padre fu rapito e poi ucciso. L’altro figlio, Giorgio, si fece poi promotore della lotta alla mafia locale, con numerose apparizioni in tv. E mentre lui se ne stava arroccato nella villa, sulle alture, o a Cagliari, nel porto, protetto dalla Guardia di Finanza, il villaggio finiva di essere costruito.
Al termine dei lavori, Giorgio mi propose di gestirlo, ma non potevo permettermi l’affitto e dovetti rinunciare. Il villaggio fu quindi affidato ai Viaggi del Ventaglio. Io vi tornai varie volte, ospite, anche se i miei numerosi altri impegni non mi concedevano molto tempo libero. In una di queste occasioni Mazzella mi presentò l’imprenditore Lino Paderi, che possedeva alcune case in località Colostrai, dove voleva organizzare un nuovo villaggio, convinto forse dal successo che la Sardegna stava incassando quale mèta turistica. La location mi piacque e accettai l’incarico: Paderi e i suoi soci disponevano dei soldi necessari. Il villaggio fu ultimato e io stesso ne iniziai la gestione, con direttore Giorgio Uccellini, affidandone la commercializzazione a diversi Tour Operator, compresa Eden Viaggi. Gestii il Colostrai (duecento camere) per circa vent’anni, con ottimi profitti. Dopodichè la proprietà stipulò un accordo diretto con Eden Viaggi, e non c’era più bisogno di me.
Fu un momento difficile, che arrivò nel momento in cui persi anche altre due gestioni, in montagna, a Courmayeur e a Bormio. Da quel momento in poi tornai a seguire le varie vicende in Sicilia, dove rimasi a lungo, ad eccezione di qualche viaggio all’estero.
(2- continua)
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