Il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, si sarebbe suicidato in Nigeria per evitare di consegnarsi ai militanti del gruppo terroristico secessionista affiliato all’Isis e nato nel 2016 da una costola dell’organizzazione africana. Questo è quanto viene riportato dal portale di informazione “HumAngle”, secondo il quale i miliziani dell’Iswap si sarebbero impadroniti di una porzione considerevole della foresta di Sambisa, che da sempre rappresenta una vera e propria roccaforte per il sodalizio comandato da Shekau.



Ad approfondire la questione in Italia è “Il Corriere della Sera”, secondo cui, al termine di una serie di scontri, nei quali sarebbero morte anche le guardie del corpo del capo di Boko Haram, Shekau avrebbe dovuto arrendersi e rinunciare alla propria supremazia. Tuttavia, posto di fronte a quella scelta a senso unico, non avrebbe ceduto al ricatto e si sarebbe fatto letteralmente saltare in aria di fronte ai suoi nemici, premendo il pulsante presente sulla cintura esplosiva che era nascosta sotto ai suoi abiti. Altre fonti locali, tuttavia, riferiscono che per evitare di essere catturato, Shekau si sarebbe sparato al petto.



NIGERIA, MORTO SUICIDA IL CAPO DI BOKO HARAM?

La notizia della presunta morte del capo di Boko Haram non costituisce, peraltro, un unicum nella storia della cronaca internazionale. “Il Corriere della Sera” rammenta che era stata annunciata la sua dipartita già in altre quattro precedenti occasioni, poi puntualmente smentite dai fatti, tra il 2009 e il 2016, quando l’esercito nigeriano aveva comunicato che Shekau era stato ferito a morte, salvo poi vederlo riapparire un mese più tardi in un filmato diffuso sul web. In questo momento sono in corso le indagini sugli accadimenti in Nigeria, come riferito da Mohammed Yerima, portavoce dei soldati nigeriani. Sono attesi sviluppi nelle prossime ore da tutta la nazione, che da più di due lustri a questa parte assiste a una guerriglia senza soluzione di continuità nella porzione nordorientale del Paese, dove sono state assassinate oltre 40mila persone e due milioni di esse hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Gli scontri, peraltro, sono proseguiti anche al di fuori dei confini nazionali, interessando anche le superfici di Camerun, Ciad e Niger.

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