La battaglia per il Quirinale, si sa, viene giocata a tutto campo, non ultimo a colpi di regolamenti parlamentari e di decisioni sulle modalità di voto prese in seno alla Conferenza dei capigruppo. E, poiché ben si sa che la procedura è neutra solo in apparenza, mentre, in realtà, è sempre influenzata da interessi sostanziali, non appena appare all’orizzonte una presa di posizione di un presidente di Assemblea – nel caso in questione del presidente della Camera, che presiede il Parlamento in seduta comune e che è certamente molto esposto sul piano politico – ecco che la dietrologia la fa da padrona e il sospetto di manovre per mettere in difficoltà gli avversari (e nel caso delle decisioni annunciate da Fico, il centrodestra) non è mancato e non mancherà nelle prossime ore. Così, un campo già sufficientemente complesso e compromesso, in quanto fortemente disgregato nella sostanza, si aggroviglia ulteriormente.



Su questo tema, le cose da dire sono poche e relativamente semplici. Appare fortemente problematica la scelta che è stata ventilata circa le modalità di lettura delle schede da parte del presidente dell’Assemblea, che comporterebbe di “leggere” solo il cognome impresso nella scheda per impedire che Berlusconi abbia il controllo sulla sua (vera o presunta) maggioranza.



Non è chiaro se questa ipotesi corrisponda a verità e se davvero Berlusconi si sia accordato con i partiti che lo sostengono affinché ogni partito metta una denominazione diversa sulla scheda – un meccanismo davvero improprio, in verità, che denoterebbe una sostanziale sfiducia negli alleati e una visione assai problematica della posta in gioco, l’elezione di chi è chiamato a svolgere la funzione di capo dello Stato e di rappresentare l’unità nazionale (articolo 87, comma 1 della Costituzione). Votare un capo dello Stato in questo modo non è certo di buon auspicio per quel minimo di etica elettorale che la circostanza dovrebbe imporre. C’è solo da sperare che si tratti di illazioni senza fondamento.



Il problema procedurale più importante è quello della possibilità per gli elettori affetti da Covid o comunque positivi al virus di recarsi alle urne. Qui il piano sostanziale e quello procedurale sono tutt’uno e la domanda si fa bruciante: cui prodest l’esclusione (in qualche modo conseguente alle norme anti-Covid) dei suddetti dall’esprimere il proprio voto?

L’ovvia risposta è che si tratti di una mossa che svantaggia una parte politica, cioè il centrodestra, che infatti sta già affilando le armi per opporsi, grazie anche all’appoggio di Italia Viva. Il presidente di un’Assemblea parlamentare che, per definizione, ha una funzione di garanzia per maggioranza e opposizione, può rischiare di esporsi in questo modo? Tutti sanno che gli strumenti esistono, se non nel nostro, almeno in altri parlamenti: la variante Omicron non è ebola ed è neutralizzabile con mezzi di non difficile ideazione e applicazione.

È di ieri la notizia dell’incontro che si è svolto presso la Conferenza dei capigruppo. L’incontro si è concluso con un nulla di fatto, salvo aver accertato la necessità di una ulteriore istruttoria sulla base delle diverse proposte avanzate dai gruppi parlamentari, tra cui quella di applicare la circolare del ministero della Salute per positivi e quarantenati secondo cui l’autorità sanitaria può autorizzare gli spostamenti. In questo caso, le motivazioni sarebbero più che ragionevoli, salvo prevedere poi modalità protette per accedere alle urne senza aumentare il contagio (leggi: organizzazione di un cosiddetto “Covid Hotel” con percorso blindato sino a Montecitorio).

Anche in questo incontro si segnala la perdurante resistenza del presidente dell’Assemblea, che chiede l’unanimità per adottare tale decisione, unanimità che è difficile da realizzare, vista la situazione politica e le divisioni tra i partiti sul tema sostanziale, cioè il nome dell’eligendo.

In questo clima, ogni proposta procedurale finisce per soccombere sotto il sospetto di scelte sostanziali “buttate” in procedura, mentre occorrerebbe lavorare tutti per far sì che non vi siano assenze tra i grandi elettori. Lo richiede la solennità del momento, da non turbare con scelte che rischiano di essere lette come scelte di parte e che potrebbero creare confusione, mentre il Paese attende una scelta responsabile da parte della classe politica, per ora ancora profondamente divisa e conflittuale.

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