Scoperto un giro di caporalato a La Spezia, con diversi operai bengalesi sfruttati da una ditta che produceva yacht di lusso. In totale la guardia di finanza spezzina ha eseguito 8 ordinanze di custodia cautelare, di cui ben 7 in carcere e una ai domiciliari, nonché il sequestro preventivo di più di 900mila euro, nei confronti di un’organizzazione che sfruttava e minacciava operai stranieri. Il tutto è stato scoperto a seguito di una serie di controlli eseguiti su una società con più di 150 dipendenti (la maggior parte bengalesi), che ha portato alla luce numerosi episodi di sfruttamento nei confronti di svariate decine di operai. I lavoratori erano costretti a turni massacranti di ben 14 ore senza permessi ne riposi, ed erano spesso minacciati, offesi e percossi, oltre che sorvegliati a vista. Come riferisce l’edizione online de La Stampa, agli arresti si è arrivati grazie a testimonianze degli stessi lavoratori, nonché con intercettazioni sai telefoniche che ambientali, che hanno appurato la gravità dei fatti.
CAPORALATO A LA SPEZIA: OPERAI BENGALESI LAVORAVANO 14 ORE AL GIORNO A 4/5 EURO ALL’ORA
Gli operai erano pagati 4/5 euro all’ora, e lavoravano senza sosta in turni massacranti e svolgendo attività pesanti e pericolose come ad esempio la saldatura, la verniciatura e la stuccatura, tutti lavori cosiddetti “sporchi”. Nel caso in cui i lavoratori si infortunavano, questi erano costretti a fornire una falsa dichiarazioni al personale del pronto soccorso, senza fare ovviamente riferimento al lavoro svolto; quando si assentavano, inoltre, non percepivano alcun compenso per malattia, perdendo l’unica fonte di reddito. L’indagine ha permesso di fare luce anche sull’articolato sistema di pagamento dei caporali: tutte le buste paga e i versamenti sembravano essere completamente in regola ad un primo controllo, ma una volta che partiva il bonifico verso gli operai, questi dovevano obbligatoriamente restituire il denaro, anche con minacce e violenza, pena la perdita del posto di lavoro, attraverso i contanti. Il meccanismo era stato predisposto da un consulente del lavoro di Ancona, che confezionava le buste paga fake, permettendo all’azienda di apparire in regola.