Il carabiniere che ha scattato la foto del giovane americano sospettato di omicidio è stato trasferito, d’accordo (ma fino a un certo punto, soprattutto dopo il caso Cucchi). Fra le molte questioni “che non tornano” della tragica morte del vicebrigadiere Cerciello ve ne sono almeno due su cui i media non sembrano volersi esercitare.



La prima è di politica interna. Nessuno ha ancora chiesto al ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, di riferire in Parlamento su quanto accaduto in una caserma dell’Arma, sotto la sua competenza istituzionale (la sorveglianza ultima sulle Forze Armate è affidata direttamente al Quirinale). Se l’interrogatorio “della vergogna” si fosse svolto in un commissariato di polizia, il ministro dell’Interno Matteo Salvini campeggerebbe sulle prime pagine, a fianco della foto “della vergogna”. Invece il ministro Trenta è alle cronache per essersi casualmente ritrovata una domenica di luglio in un ristorante dei Castelli romani teatro di un accoltellamento. 



Certo, Trenta non è esponente della Lega, ma di M5S (anzi è il principale “agente provocatore” contro Salvini all’interno dell’esecutivo: vedi l’ennesimo sbarco “controcorrente” di migranti orchestrato dalla Guardia Costiera). È lei stessa un militare, compagna di un altro militare. E condivide con il premier Giuseppe Conte la vicinanza con la Link University, l’academy romana ritenuta contigua ai servizi di sicurezza. Il Premier, dal canto suo, è stato zelantissimo nel recarsi di persona in Parlamento a riferire di un audio confezionato mesi fa in modo controverso in un hotel di Mosca, giunto in modo controverso a un sito americano e riguardante colloqui controversi fra un collaboratore di Salvini e controversi personaggi russi.



È a questo punto che un giornalismo professionale dovrebbe a maggior ragione sentirsi richiamato a entrare nella zona grigia attraversata dalla “foto della vergogna” fra la caserma romana dei carabinieri e le redazioni stesse dei giornali. L’impresa, sulla carta, non si presenta improba: la foto (si è appreso) è stata scattata da un carabiniere in una caserma italiana (non da una cimice in un albergo russo) ed è stata inoltrata a media italiani (non a Buzzfeed). Questi ultimi ne dovrebbero conoscere la provenienza e se anche fosse giunta in classica busta anonima, sarebbe davvero inusuale che non ne avessero accertato l’autenticità: anzitutto presso il comando generale dell’Arma. 

Anche i media tedeschi che, due mesi fa, hanno pubblicato il video-trappola che ha abbattuto il governo sovranista austriaco, hanno affermato da subito di essere certi non si trattasse di un fake. Naturalmente nessuno, in Germania, ha chiesto alla libera stampa di dichiararsi certa di non essere stata manipolata (eppure sono gli stessi media che riservano spazi enormi ai troll russi, al caso Cambridge Analytica o alla “guerra di Huawei”). 

La nuova “foto dell’estate” in Italia suscita lo stesso clamore mediatico sul versante della cronaca – che comunque confina con il fronte dei rapporti Italo-americani – ma lo stesso silenzio sulla sua fabbricazione. Come nell’estate 2005, in spiaggia si acquista di più è più spensieratamente un quotidiano zeppo di colorite intercettazioni di un immobiliarista romano. Chi, come e perché quei brogliacci fossero stati prodotti e subito passati ai giornali, non interessava a nessuno.