Nell’accusare la professoressa Fortini del suo post sul vicebrigadiere accoltellato da un ragazzo americano in gita a Roma con annessa cocaina e coltello da marine, ho fatto del relativismo, inteso nella sua forma più radicale di distruzione del Vero, il padre di tutte le derive. Non ho cambiato parere, ma dinanzi agli sviluppi delle ultime ore, è necessario completare l’analisi.
Dinanzi alla foto del ragazzo bendato si è infatti levato un coro assordante di proteste da parte di quella stessa fascia intellettuale che occupa saldamente i bastioni del relativismo culturale dagli anni sessanta in poi. Le vittime sono diventati i due ragazzi arrestati e la benda sugli occhi evoca un assoluto che genera una gerarchia di valori alternativa e, come ogni assoluto, non ammette repliche. La visita dell’on. Scalfarotto (Pd) ai due responsabili dell’assassinio del carabiniere non ne è che la conferma evidente. Il relativismo che alberga in chi ritiene che la dimensione del genere sessuale non sia l’esito di una condizione naturale (quindi assoluta) bensì il risultato di una decisione personale (quindi relativa), viene meno quando si tratta dell’icona del potere (anonimo perché visto di spalle) e dell’accusato, bendato e con la testa bassa, quindi perfettamente visibile nel proprio stato di prostrazione. In questo secondo caso ogni relativismo decade e l’assoluto torna ad imperare.
Così mentre su Mario Cerciello Rega, obiettivamente accoltellato alle spalle con undici coltellate da un figlio di papà in libera uscita (e quanto libera!) si addensano congetture di ogni tipo, inducendo tra noi e la vittima la cortina fumogena di situazioni ambigue e poco chiare; sul giovane bendato non regna nessun dubbio: l’indignazione è d’obbligo ed il fatto (oggettivamente banale dinanzi alle undici coltellate alle spalle, affibbiate a sangue freddo ad un agente delle forze dell’ordine) gode dei pregi dell’evidenza che invece è negata al primo. I mille distinguo suscitati intorno all’accoltellamento svaniscono dinanzi all’inoppugnabilità del bendaggio. Il relativismo viene messo tra parentesi ed il Vero torna ad esistere, ma con una nuova gerarchia.
Non si può non restare sconcertati, ma non si può nemmeno non interrogarsi su di un tale paradosso dove, sulla scala delle priorità, la benda sugli occhi (che si può sempre togliere) diventa prioritaria sulle undici coltellate (che invece sono mortali e quindi definitive).
Si può fare cenno all’opportunità, per delle formazioni politiche rimaste in ombra, di occupare uno spazio morale, facendo così del “problema della benda” un semplice diversivo strumentale. Ovviamente non è così, in quanto il vero fenomeno da analizzare non è costituito dalla scelta di un singolo deputato o di un gruppo parlamentare, quanto dal fatto che un intero segmento dell’opinione pubblica la trovi plausibile e la sottoscriva.
La verità che emerge è allora un’altra ed è ancora più radicale: il relativismo assoluto è non-tenibile ed insopportabile. Dinanzi al vuoto che l’uomo si trova costretto a vivere, emergono immediatamente valori di riserva che vanno a sostituire i primi imponendo nuovi assoluti e nuove certezze.
Se una tale lettura è adeguata alla realtà si può allora capire la solerzia con la quale un’intera classe culturale che ha dismesso le antiche certezze, si butti a capofitto sui nuovi assoluti: dal riscaldamento globale agli equilibri della natura, dalle politiche del gender alla lotta contro la “cementificazione”. Nessuno di questi argomenti merita di essere banalizzato (che è poi l’ultima cosa che un sociologo può pensare di fare), tuttavia non può essere tralasciato il ruolo di sostituzione che ciascuno di questi nuovi principi cerca di occupare. Ciò permette di comprendere la vis polemica con la quale ognuno di questi nuovi principi viene difeso a spada tratta, fino ad arrivare a dei veri e propri diktat legislativi: così, ad esempio, le leggi contro l’omofobia vengono approvate senza colpo ferire e, in Francia, il matrimonio per le coppie gay e il concetto di famiglia monoparentale si affermano a dispetto di un’opinione pubblica maggioritaria largamente contraria.
Si arriva così ad una nuova gerarchia dei valori, ad una nuova serie di principi che sostituiscono i precedenti, ma con una grande differenza. Mentre i primi, come possono essere le undici coltellate al vice brigadiere dell’Arma dei carabinieri, affondano le loro radici in un ethos culturale condiviso ed in una pietas che riunisce la maggioranza della popolazione; i secondi, come può essere la benda sul “povero ragazzo” indagato per omicidio volontario, sono portati in auge da una leadership culturale minoritaria sul piano della rappresentanza politica, ma ancora ampiamente maggioritaria su quello culturale.
Si arriva allora ad una spaccatura del paese che non è solo politica ma anche di universi valoriali di riferimento, dove gli uni difendono valori che per gli altri sono secondari e la minoranza domina culturalmente la maggioranza, imponendosi a quest’ultima.
Si annuncia così uno scenario assolutamente rischioso: nessuna società democratica può riuscire a riprodursi ed a trasmettersi da una generazione all’altra senza possedere un segmento di principi condivisi. Se al relativismo subentra l’alternanza, nella quale una leadership culturale minoritaria occupa ossessivamente i posti prima fila, c’è il rischio materiale che i tre quarti della sala abbandonino il teatro, ed è un risultato che ciascuno di noi dovrebbe temere.