Il caso della professoressa Frontini e del suo incredibile post sulla morte di Mario Cerciello Rega, un nostro carabiniere in servizio, non è un incidente di percorso, né riguarda una personalità di scarsa qualità culturale. Eliana Frontini è una donna verosimilmente intelligente, impegnata nell’ambito della storia dell’arte, capace di presentarsi sul suo sito con una definizione generosa di sé (si definisce “artista concettuale”) elencando attività svolte e progetti in corso. In una parola: è una donna che ritiene di sapere quello che fa e che ha un’opinione consapevolmente alta di sé e del proprio lavoro. Pertanto il suo post sulla morte del carabiniere – che evito per pudore di ripetere – non è affatto il gesto inconsulto di una persona facile alle parole irriflesse, che non ne conosca il peso né le conseguenze.
Ciò ci aiuta a definire il problema reale che vi si cela dietro. Se una professoressa che insegna lettere e storia dell’arte in un istituto del nostro sistema scolastico arriva a scrivere un insulto simile, convinta che questo possa essere inteso come una legittima opinione, il problema diviene quello della profonda dissociazione tra competenza culturale da un lato e sensibilità umana e consapevolezza civile dall’altro.
Il problema che si possa essere competenti e stupidi al tempo stesso e che la competenza non apra alla conoscenza di sé e del mondo, è sempre esistito. Tuttavia è vero che in quest’ultimi cinquant’anni la forbice si è allargata. Il relativismo in libera uscita e l’autoreferenzialità ideologica ci hanno portato sempre più lontani dalle radici comuni della pietas, di un’umanità condivisa, che dovrebbero ancorare la riflessione culturale al senso comune.
Il problema diviene quello di una struttura di pensiero alternativo che vive in un universo proprio, una vera e propria “isola culturale” nella quale alberga una visione del mondo che ignora i fondamentali della nostra comunità civile e nutre un odio profondo per le forze dell’ordine come per la nostra identità nazionale: è la coda velenosa di un’epoca di profonda confusione che ci ha lasciato in omaggio il terrorismo nelle strade ed il relativismo nelle università. Fiera della propria autonomia, questa frangia culturale, comodamente insediata nelle nostre strutture formative, riesce a coniugare la propria competenza culturale con il più velenoso manicheismo antisistema, fino a raggiungere l’espressione di un’indifferente e letale disumanità.
Una tale compagine è umanamente dissociata dal resto della nazione, ed è altrettanto incapace di condividere i sentimenti più ordinari che albergano in quest’ultima, compreso quello del rispetto della vittima di un assassinio quando si tratta di un “carabiniere”. Dietro questa compagine c’è in opera una vera e propria devianza culturale, interamente strutturata da un potente relativismo e da una “messa in dubbio” di tutta la realtà, che porta avanti, da anni, una profonda deriva culturale ed esistenziale al tempo stesso, costantemente strutturata dall’odio “anti-sistema”.
Il problema arriva così al capolinea, ed è quello della nostra incapacità culturale di farvi fronte; dando la possibilità a simili derive di installarsi e di insediarsi a vita nel nostro sistema culturale (e scolastico), svolgendo un’opera di quotidiana distruzione di quel poco che resta del nostro tessuto civile e della nostra coscienza collettiva. E questo per un motivo particolare, per una sorta di peccato originale, che consiste nella negazione sistematica della verità, anche quando è ampiamente manifesta.
Non si tratta solo di recuperare il rispetto umano e civile per un nostro agente dei carabinieri: un giovane di trentacinque anni, pugnalato a morte dall’ennesimo idiota cocainomane, che il nostro stupidario del politicamente corretto lascia costantemente a piede libero ed in stato di idiozia permanente. Si tratta di recuperare la dignità della verità, ponendo fine a questa sottocultura della negazione che è pronta a negare anche la verità più manifesta, come può esserlo la morte di un innocente, servitore dello Stato. Occorre che una simile cultura dell’odio, sfrontatamente libera di esercitarsi a piacimento, senza nessun limite di umano rispetto vada definitivamente in pensione, assieme alla deriva ideologica che ha alimentato per anni e che continua scientemente a produrre.
Non c’è cultura senza verità e quest’ultima non è mai relativa, ma solennemente reale e terribilmente tragica ogni volta che la si ignora. Chinare la testa dinanzi al Vero e riconoscere i nostri errori è il primo atto di rispetto morale e civile che dobbiamo al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega ed a tutti gli altri come lui, mai rispettati abbastanza.