La missione di Giorgia Meloni negli Stati Uniti non deve sorprendere, è in linea di continuità con la politica estera italiana, che ha in Washington il suo punto di riferimento. A sottolinearlo è Lucio Caracciolo nell’intervista rilasciata a Libero. Per il fondatore della rivista di geopolitica Limes, a essere cambiato davvero è il ruolo degli Usa nel mondo. «Gli States sono un Paese ormai in palese e profonda crisi di identità e strategia. Non è più immaginabile un mondo fondato sull’egemonia americana. Non lo immagina più neppure Washington». L’Italia chiaramente ne risente, anche perché ha «un’importanza oggettiva» per gli Stati Uniti, «che le deriva dall’essere una piattaforma nel centro del Mediterraneo che connette Europa, Asia e Africa». Caracciolo, quindi, evidenzia che per la Casa Bianca resta fondamentale avere installazioni strategiche in Italia, non a caso le sta rafforzando, «in particolare nel Nordest, dove sta nascendo un polo di intelligence di statura europea, e in Sicilia perché la competizione con la Cina passa anche da lì».



Ma dipende dal governo darsi una particolare autonomia. Il nostro Paese è in una crisi endemica, eppure resiste, e gli Stati Uniti hanno interesse a farci stare a galla e a tenerci sotto la loro ala. «Russia e Cina stanno avanzando in Africa, dove Washington non ha mai avuto grande presa, e l’Italia è il candidato naturale a rappresentare e tutelare gli interessi dell’Occidente nel Continente Nero», osserva Lucio Caracciolo, secondo cui negli ultimi anni abbiamo perso troppe posizioni. Ma ora l’Occidente si aspetta dall’Italia «un ruolo di contenimento dell’avanzata dei turchi in Libia e della Russia a est e nel Mediterraneo».



IL RUOLO DELL’ITALIA E LE “ACROBAZIE” DI MELONI

Per contare davvero, però, servono anche le armi, di cui l’Occidente non abbonda, visto che la guerra in Ucraina ha svuotato i magazzini Usa ed europei. «Ma il paradosso di questa guerra è che ha dimostrato che la più grande potenza militare al mondo e gli altri Paesi della Nato non hanno armi né un’industria bellica in grado di reggere una guerra», spiega Luca Caracciolo a Libero. Comunque, ora ci si sta riarmando. Nel frattempo, gli Stati Uniti vogliono garanzie sulla solidità dell’Italia, un aspetto che si lega alla contrarietà Usa alla nascita dell’euro. «Temevano il costituirsi di un polo europeo a guida franco-tedesca che ci avrebbe relegato in un ruolo marginale». Anche se Francia e Germania ci hanno provato, non è andata affatto così. Lo dimostra anche la guerra in Ucraina, con l’Italia abile a sfruttare diplomaticamente la crisi.



«È stata un’acrobazia ben riuscita della Meloni, che non nasce filo-americana ma ha tenuto una salda linea atlantista, ben sapendo che la tendenza profonda del Paese è più ambigua». C’è una vocazione storica, secondo Caracciolo, economica ed energetica, per la quale siamo spinti a mantenere rapporti con la Russia, «ma volendo stare con Washington dobbiamo limitare le nostre derapate». Il problema è che non sempre rispettiamo gli impegni, e questo gli Usa lo sanno. «Preferirebbero un partner più autonomo e infedele ma che sia in grado di fare il suo lavoro, un po’ come la Turchia di Erdogan, ma questo non accade perché noi, non avendo sovranità, non possiamo avere visione strategica».

“GUERRA IN UCRAINA? NESSUN VINCITORE”

Riguardo la guerra in Ucraina, comunque, il fondatore di Limes ritiene che possa finire a breve. «Ormai il campo ha stabilito quali saranno i nuovi confini, con il Donbass che torna russo, e manca solo il cessate il fuoco. L’Ucraina non accetta di vedersi decurtare il propio territorio del 20% e spera di riprendersene una parte e trattare su altre basi ma non ha i mezzi per riprendersi i territori tolti e la Russia non ha né volontà né capacità di andare oltre, ma nessuno sa bene come mettere fine al conflitto». Il risultato della guerra in Ucraina è un Paese distrutto, in termini umani e dal punto di vista strutturale, con 28 milioni di abitanti mentre prima erano 51 milioni.

«Il problema è che gli Usa non hanno la forza di imporle una mezza resa da coprire con una foglia di fico. Ma la Russia non ha vinto: rispetto al febbraio 2022 è più debole e meno credibile, ha dimostrato di avere una potenza militare limitata che fonda la propria forza solo sullo spauracchio atomico e ha spinto i confini della Nato fino sotto il proprio naso», spiega Lucio Caracciolo a Libero. Inoltre, sta finendo nelle braccia della Cina, che seppur scontenta di Vladimir Putin, ha l’occasione di incrementare la sua influenza in Siberia e nelle aree contese dell’Asia centrale. Il fondatore di Limes dubita poi che l’Ucraina entrerà nella Nato, perché gli Stati Uniti non sono disposti a intervenire in guerra per tutti. «Più estendi la Nato, più dimostri che l’articolo 5 è relativo, vale in modo diverso a seconda dei Paesi; meglio non testarne la fragilità».

“USA VS CINA? RISCHIO GUERRA DI DISTRUZIONE”

Il vero pericolo è rappresentato dalla rivalità tra Usa e Cina: «Prima o poi finiranno per farsi la guerra. La storia non procede razionalmente e perciò il rischio è concreto». Uno scenario tragico legato alla confusione strategica americana che aumenta il rischio di un deragliamento, ma anche al fatto che nessuno conosce i piani di Xi Jinping, che ora non vuole il conflitto, ma più in là forse sì. Non è detto che il casus belli sarà Taiwan, «potrebbe essere anche la Corea. Usa e Cina sono ovunque nel mondo e l’innesco può capitare ovunque». Di fatto scoppierebbe una «guerra di distruzione reciproca, totale della Cina, parziale degli Usa, ma nessuno può vincerla. Anche se gli americani arrivassero a Pechino, poi che se ne farebbero di un cumulo di rovine atomiche?». Le elezioni presidenziali Usa sono irrilevanti in tal senso. «Certo però che la vittoria di Trump sarebbe la dimostrazione che il deep State americano non esiste più». Per evitare la guerra tra Usa e Cina dovrebbe crescere la consapevolezza che ogni tipo di pace concordabile sia meglio della guerra. Inoltre, i popoli non son storicamente ostili e se si è riusciti ad evitare lo scontro con la Russia, lo stesso si può fare con la Cina.