La bibliografia su Michelangelo Merisi da Caravaggio è, senza esagerare, in espansione inarrestabile. Non sono comunque frequenti le uscite concentrate su un solo quadro, pur raccontato da più punti di vista. Ed è proprio ciò che ha fatto uno dei più attenti studiosi caravaggisti, Michele Cuppone, pubblicando un saggio sulla famosa “Natività di Palermo”. Coraggioso? Sì, per quanti pensavano oramai che non si potesse dire molto di nuovo sul tema. E invece il volume, edito da Campisano a cinquant’anni dal furto della tela, può definirsi persino illuminante: l’autore riesce infatti nell’arduo compito di fare maggiore chiarezza sulla storia travagliata del dipinto, sotto il profilo storico–artistico e della cronaca. La Natività, sappiamo, fu trafugata dall’oratorio di San Lorenzo in una notte piovosa di ottobre del 1969, e non è stata ancora recuperata. Molte le supposizioni e Cuppone, da buon ricercatore e con un linguaggio aperto a tutti proprio dello specialista che rinuncia tuttavia a inutili tecnicismi, risponde a tanti interrogativi.
Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro prende avvio dalla genesi del “Presepio”, anch’essa uno dei tanti misteri caravaggeschi. Merisi dipinse per la città di Palermo solo quest’opera; ma l’autore, puntuale e ben documentato, chiarisce come essa non fu realizzata nel 1609 durante il soggiorno siciliano dell’artista, ma a Roma nel 1600 e da qui spedita alla volta del capoluogo isolano. Lo studioso ha notato affinità con capolavori del periodo romano, in particolare quelli prossimi al 1600, quando il pittore era impegnato nella celebre cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Le immagini, nell’accattivante veste editoriale, permettono di apprezzare numerose analogie e la presenza degli stessi modelli: è innegabile la somiglianza tra il viso dolce della Madonna e quello corrugato della Giuditta che taglia la testa a Oloferne, del 1602, oggi a Palazzo Barberini.
Cuppone si sofferma anche sullo stile del dipinto, con ogni evidenza diverso dalle opere realizzate da Caravaggio tra Siracusa e Messina, e su aspetti diagnostici: da vecchie radiografie risulta che la tela utilizzata, per caratteristiche tecniche, si avvicinava più ai supporti romani che non a quelli siciliani. La conferma della datazione proviene dalle ricerche d’archivio: un documento romano del 5 aprile 1600 informa che un certo mercante Fabio Nuti pagò a Merisi 200 scudi per un quadro “cum figuris”. Le dimensioni previste nel contratto sono in sostanza le stesse della perduta Natività.
Pagina dopo pagina e nella messe di informazioni, è un viaggio che, attraverso temi solo apparentemente collaterali, porta in un crescendo fino al punto più dolente della scomparsa: il quadro è di fatto il più ricercato al mondo, secondo l’Fbi. Nel capitolo finale e nevralgico, Cuppone libera pazientemente il campo da notizie a dire il vero già sospette. Si era detto di tutto: dal dipinto ora esposto nei summit di mafia, ora mangiato da topi e maiali, o bruciato, al tentativo di Giovanni Brusca per patteggiarne la restituzione. Partendo dall’inchiesta pubblicata nel 2018 dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi, sono ora ricostruiti molti tasselli, attraverso fonti attendibili. Ma non mancano dettagli inediti. In particolare sembra rimescolare le carte una lettera del 1974: vi si accenna a una richiesta di riscatto, diversa però da quella, già nota, avvenuta subito dopo il furto. Chiude il saggio una significativa rassegna stampa nazionale e locale dell’ottobre del 1969, vivacizzata dalle foto dei ritagli di giornale. Da cui, singolarmente, emerge lo scarso risalto che all’epoca fu dato alla notizia.