Rinchiusi in carcere in Italia attualmente, secondo i dati ufficiali del Ministero, sono detenuti circa 15mila fedeli dell’Islam, tra i quali 500 sono a rischio radicalizzazione. Una questione decisamente spinosa e che lascia aperte le porte ad una nuova, possibile (e sempre più temuta in tutta Europa), stagione di attentati jihadisti, stimolati dalla decisione di Hamas di colpire Israele, sotto l’egide della lotta al mondo ebraico, grande nemico dei paesi arabi.



Tra i 500 detenuti in carcere a rischio radicalizzazione, inoltre, circa una cinquantina sono finiti in manette proprio per reati connessi al terrorismo. Complessivamente, comunque, il Ministero della Giustizia attesta anche la presenza di 97 imam nelle carceri italiane, che hanno già convertito almeno 44 persone, affidando ad altre 88 il compito di diffondere tra le mura carcerarie il verbo di Allah. Analizzando ulteriormente quei 500 detenuti in carcere a rischio radicalizzazione, secondo il Ministero 230 di loro sono da considerare adepti di “primo livello”, ovvero che hanno già manifestato tendenze al proselitismo, mentre un altro centinaio si è dimostrato “molto vicino” alle ideologie jihadiste.



Il carcere e il rischio radicalizzazione

Insomma, il carcere potrebbe rivelarsi per i fedeli dell’Islam un modo per avvicinarsi alle ideologie jihadiste, radicalizzandosi e preparandosi a qualche gesto estremo una volta reintegrati nella società. Un allarme lanciato da Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato della polizia penitenziaria, il quale sottolinea come sempre più detenuti musulmani “manifestano comportamenti tipici della radicalizzazione“.

In carcere infatti, spiega, “inneggiano agli attentati di matrice islamica e mostrano apertamente odio verso l’Occidente”. Contestualmente, il garante dei carcerati Mauro Palma ritiene che non vi sia “alcun rischio [radicalizzazione]” nelle carceri italiane, ma forse solo al fine di non diffondere il panico tra la popolazione. Differentemente, infatti, la jihadologa Elettra Santori spiega che “chi ha già commesso crimini può essere predisposto a un’ultra radicalizzazione. Ha familiarità con la violenza e dimestichezza con le armi. E poi va considerato il nesso prigione – terrore: il carcere aumenta il risentimento nei confronti della società, l’odio verso l’Occidente che ha tradito le aspettative dei migranti”, alimentando la narrazione “dell’Islam negato” portando alla maturazione di “potenziali jihadisti” pronti a colpire una volta liberi.