Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) ha pubblicato recentemente i dati di occupazione per chi ha scontato una pena in carcere. La fotografia che ne emerge a livello nazionale, riportata dal Sole 24 Ore, è che i detenuti che nel corso della permanenza in carcere hanno avuto modo di apprendere una professione, molto difficilmente torneranno a delinquere una volta in libertà, a differenza degli ex detenuti che non sono stati reinseriti lavorativamente nella società.
Secondo i dati riportati dal Cnel, insomma, gli ex detenuti che in carcere hanno imparato un lavoro, hanno un tasso di recidiva del 2%. La media nazionale di recidiva dei disoccupati, invece, sale fino al 68,7%. I dati che si riferiscono al 2 febbraio 2023 riportano un totale di 56.107 detenuti dei quali 18.654 hanno un contratto lavorativo, che in termini percentuali costituisce il 34% dei presenti. I detenuti lavoratori hanno all’84,7% un Contratto Collettivo Nazionale che li porta a lavorare alle dipendenze della stessa amministrazione del carcere in cui sono detenuti. I restanti 2.473 detenuti che lavorano, invece, sono impiegati di imprese o cooperative esterne, godendo di diritti simili agli altri lavoratori non detenuti.
Carcere e lavoro: il commento del Cnel
Insomma, dati alla mano, sembra che coloro che in carcere possono accedere al percorso per imparare una professione, abbiano una recidiva molto più bassa di coloro a cui non viene data questa possibilità. Solamente una parte minoritaria dei carcerati (il 34%), infatti, ha la possibilità di accedere ai percorsi formativi previsti, spiega il Sole 24 Ore, dalla legge 354 del 26 luglio 1975 che individua il lavoro come parte essenziale del percorso rieducativo.
In merito alla recidiva dei lavoratori in carcere si è espresso Gian Paolo Gualaccini, consigliere del Cnel. Secondo lui, “i dati dimostrano che la finalità rieducativa della pena è ancora un obiettivo sostanzialmente inattuato, ma per i detenuti lavoratori i dati sono ottimi”. Carmelo Cantone, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, invece, spiega che “il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare il mondo imprenditoriale, attirarne l’attenzione, creare delle filiere lavorative e produttive coerenti con le esigenze del mercato. Ma, soprattutto, far comprendere che implementare il lavoro in carcere non significa togliere posti di lavoro all’esterno, [ma anzi] può essere un valore che arricchisce l’intero mercato“.