Rita Bernardini, politica appartenente al Partito Radicale, dal 16 agosto ha intrapreso uno sciopero della fame per lottare contro il fenomeno dei suicidi in carcere e in generale sulla situazione della Giustizia in Italia. Intervistata da Libero, parla di 59 suicidi da inizio 2022, “un numero tragico che regala al nostro Paese il primato europeo in negativo sulle condizioni di vita di coloro che stanno espiando una pena. In Italia le morti per suicidio rappresentano il 38,2% dei decessi in carcere, mentre la media europea è del 26%”. E definisce le carceri italiane “vere e proprie fabbriche di suicidi.



Dall’inizio del suo sciopero della fame, racconta di aver “perso sei chili e mi nutro con tre cappuccini al giorno, così aveva sempre fatto Marco Pannella per cercare di resistere il più a lungo possibile nello sciopero”. Tra le pagine di Libero, ribadisce che “il problema però non è, in questo momento, come io mi senta, ma quale imbarazzante silenzio sia calato completamente su qualsiasi tema che riguardi la giustizia in questa campagna elettorale”. Citando ancora Marco Pannella, Rita Bernardini afferma che “le carceri sono l’anello finale di una giustizia che non funziona”.



Suicidi nelle carceri italiane, “detenuti abbandonati in due anni di pandemia”

Rita Bernardini spiega a Libero che “sono ormai oltre 55mila i detenuti nelle nostre carceri. Per avere una capacità di accoglienza dignitosa e legale non dovrebbero essere più di 40mila”. E il sovraffollamento “è un vero problema, perché, oltretutto, costringiamo i servitori dello Stato, la polizia penitenziaria e chiunque lavori nelle case di reclusione, a violare ogni giorno i diritti umani fondamentali”.

Rita Bernardini sull’esplosione di suicidi nelle carceri aggiunge che “veniamo da due anni di pandemia in cui i detenuti sono stati abbandonati a loro stessi in ogni forma di socialità: nessun colloquio con i familiari, nessuna attività rieducativa come scuola e lavoro all’interno degli istituti penitenziari”. In aggiunta, “in carcere troviamo la marginalità sociale, quella vera e profonda tra cui i poveri e i tossicodipendenti che, non potendo avere misure alternative, spesso perché senza una dimora, cadono in una disperazione senza fine rendendo più facile farla finita”. A cui si aggiunse anche la ricaduta “sulle spalle di una figura professionale come l’agente di polizia penitenziaria presente in carcere h24, mentre tutte le altre professionalità come direttori, educatori, assistenti sociali, psicologi e mediatori culturali sono incredibilmente carenti con gli organici ridotti al lumicino”.