Le tragedie che coinvolgono ragazze e ragazzi minori ci coinvolgono sempre maggiormente poiché a noi genitori e nonni ci arriva addosso il dubbio atroce di non aver fatto abbastanza per la loro educazione affettiva e valoriale. La società odierna è fortemente disorientata e le famiglie hanno bisogno più che mai di sostegni per crescere le nuove generazioni e il sistema istituzionale si deve rapportare sempre di più alla rete della sussidiarietà del volontariato e dell’associazionismo in una situazione italiana difficile.
Al 31 dicembre 2023 erano 496 i minori e i giovani adulti detenuti all’interno dei 17 istituti penali per minorenni (Ipm). Tra questi, 482 ragazzi e 14 ragazze. Nell’ultimo anno il sistema penale minorile, sulla scia di quello degli adulti, ha però registrato un aumento delle presenze pari a circa il 25%. Teniamo conto che a dicembre 2022 i ragazzi negli Ipm erano 400, quasi 100 in meno rispetto al 2023 e sono aumentati vertiginosamente nel 2024, dati che sapremo definitivamente a fine anno, perché a oggi abbiamo i numeri dell’Associazione Antigone che segnalano che a fine febbraio 2024 erano 532. Numeri di questo tipo non si vedevano da molti anni, essendo quindi indicativi di un momento particolarmente critico per il sistema della giustizia minorile in Italia.
Rispetto all’utilizzo della pena privativa della libertà nei confronti dei minori inseriti nel circuito penale nei vari Stati Ue emerge un quadro variegato. Sebbene per i minori la reclusione – e il regime di vita che ne consegue – venga tendenzialmente presentata come una misura assolutamente residuale, nella prassi sappiamo che ci sono profonde differenze tra i Paesi europei. Per quello che ci riguarda dovremmo cercare di capire il livello di implementazione della Direttiva Ue 2016/800 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali. Le principali fonti consultate sono il Rapporto Space I (2022) del Consiglio d’Europa, le pubblicazioni di Eurostat, il rapporto pubblicato nel 2022 dalla European Union Agency for Fundamental Rights riguardante proprio l’applicazione della Direttiva Ue 2016/800, guardando in maniera essenziale al modello italiano.
Sebbene molte delle indicazioni e dei principi contenuti nella Direttiva fossero già previsti dal diritto nazionale di alcuni Paesi, essa mira a garantire uniformità a livello europeo e a rafforzare le previsioni nazionali, laddove già esistenti. Infatti, fissa dei principi e delle garanzie fondamentali per il minore, tra cui il diritto a essere informato sulle caratteristiche del procedimento a cui è sottoposto, con un linguaggio comprensibile e semplificato e adattato all’età del minorenne; il diritto del minore a essere assistito da un difensore; di parlare con un legale senza ritardo, prima di essere sottoposto a un interrogatorio, immediatamente in caso di privazione della libertà e prima di comparire davanti a un giudice. Ancora il diritto all’individualizzazione nella trattazione del caso; i bisogni specifici del minore quali l’educazione, la protezione, la formazione, lo studio e l’integrazione sociale e la situazione specifica del minore. Tuttavia, esistono ancora varie lacune sia a livello legislativo che pratico per quanto riguarda l’attuazione delle garanzie per gli imputati minorenni stabilite dal legislatore europeo.
La Direttiva applicata in Italia sancisce per i genitori, o i soggetti esercenti la potestà genitoriale, il diritto all’informazione (art. 15) e chi accompagna il minore nel procedimento penale continua ad avere un ruolo relativamente secondario e a non ricevere le informazioni essenziali sul procedimento penale. Ricordiamo che l’art. 10 della Direttiva impone che il carcere per i minori sia una misura di ultima ratio e ci auguriamo che l’idea per cui il carcere deve essere una risorsa assolutamente residuale continui a trovare applicazione in tutti gli Stati europei e non si ceda a tentazioni securitarie. La rete delle comunità costituisce un attore fondamentale del sistema della giustizia minorile, ma presenta alcune criticità.
Le comunità sono quasi tutte private e accreditate dal ministero della Giustizia a svolgere il loro ruolo. Le strutture più articolate e qualitativamente migliori – che possono contare anche su altri soggetti finanziatori oltre quello pubblico, essendo il contributo ministeriale spesso insufficiente – tendono ad accettare soprattutto ragazzi provenienti dall’area civile, effettuando una selezione più stringente dei ragazzi provenienti dal penale, che rischiano con più facilità di ritrovarsi in comunità qualitativamente inferiori.
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