CRISI CARCERI, ITALIA VERSO NUOVA INTESA CON L’ALBANIA: DI COSA SI TRATTA
Un nuovo accordo con l’Albania, questa volta però legato al tema emergenziale delle carceri: lo ha ripetuto di recente anche il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sovraffollamento delle carceri in Italia è un’emergenza continua che non può più essere rimandata e di fatti il Governo studia da oltre un anno diversi provvedimenti per provare a “ridurre” la presenza massiccia dei detenuti negli istituti carcerari. E così è allo studio un progetto di collaborazione con l’Albania per il trasferimento di parte dei detenuti albanesi presenti al momento nelle prigioni italiane: lo ha svelato oggi il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, in audizione in commissione Giustizia.
«Abbiamo oggettivamente un incremento di circa 400 detenuti in più ogni mese nelle carceri italiane. Ad oggi abbiamo 60.814 detenuti. Di questi, 43mila sono comuni e gli altri si dividono in alta sicurezza e 41 bis. Ma siamo ancora lontani dai numeri che fecero scattare la cosiddetta sentenza Torreggiani», aggiunge il capo del Dap. Ecco perché un accordo con l’Albania per traferire un numero fisso di detenuti albanesi nelle carceri del loro Paese può rappresentare un aiuto concreto e un “modello” di “delocalizzazione” come avvenuto di recente sull’accordo per i migranti extra-Ue.
“DETENUTI ALBANESI RIENTRANO IN PATRIA, IN CAMBIO FORMAZIONE PROFESSIONALE”. COSA HA DETTO IL CAPO DEL DAP
È ancora Russo a illustrare i primi dettagli di un potenziale accordo sull’asse Meloni-Rama ancora tutto da definirsi nelle prossime settimane: «Al costo di 34 euro al giorno per ogni detenuto albanese recluso nelle proprie carceri, il Regno Unito ha stipulato un accordo con l’Albania affinché sconti la pena nel suo Paese. A noi – ha spiegato Russo – è venuto in mente di replicare lo stesso accordo con qualche modifica: non inviare soldi all’Albania ma fornire servizi di tipo penitenziario».
Quello che potrebbe inizialmente sembrare una sorta di “baratto”, sottolinea il capo del Dap, è invece un’apertura concreta all’idea di percorsi «professionalizzanti ad hoc per i detenuti, che abbiano interesse a rimanere nel proprio Paese perché hanno nuove professionalità, come detenuti che il carcere italiano ha formato». In merito poi alla situazione dei detenuti con fine pena breve, ovvero tra i 6 e i 18 mesi, ancora in carcere, la soluzione è quella di «costruire un luogo intermedio tra la detenzione e la riconquista delle libertà, sulla falsa riga delle comunità per i tossicodipendenti». Il progetto riguarda in questo caso delle comunità di accoglienza educative validate dalle regioni dove, sulla base di una lista prefissata nazionale, il magistrato di sorveglianza «possa attingere e inviare il detenuto a fine pena che abbia quelle condizioni soggettive di non recidiva e non pericolosità. Condizioni tali da potergli consentire di passare gli ultimi mesi nell’avvio della conquista della libertà, previo inizio di una formazione in carcere».