Vladimir Putin, presidente della Russia, starebbe combattendo contro un carcinoma papillifero della tiroide. L’indiscrezione sta facendo il giro del mondo e, se da tempo si vociferava di una presunta grave malattia che avrebbe colpito il leader del Cremlino, ecco che ora ad essa viene attribuito anche un nome, seppur manchino conferme. I rumors si basano sulle 35 visite nell’arco di quattro anni che il numero uno del Paese russo avrebbe effettuato presso un oncologo specializzato nella lotta al cancro alla tiroide.



Ma cos’è esattamente il carcinoma papillifero della tiroide? A spiegarlo ai lettori de “La Repubblica” è stato il professor Luca Revelli, chirurgo endocrino all’Università Cattolica-Fondazione Policlinico universitario Gemelli di Roma, uno dei centri con più casistica in Italia di interventi alla tiroide. “Un intervento alla tiroide – ha sottolineato – dovrebbe lasciare al paziente un segno sul collo. Anche se non è l’unica via di intervento, perché per esempio chi lavora con la propria immagine chiede che la cicatrice non sia visibile e quindi si sceglie l’approccio operatorio attraverso l’ascella. Comunque, se si fa una diagnosi precoce, si interviene immediatamente e si toglie tutta la tiroide o anche una parte. Il carcinoma papillifero ha una prognosi molto buona: a 5 anni dall’intervento la sopravvivenza è molto alta e le ricadute molto basse”.



CARCINOMA PAPILLIFERO DELLA TIROIDE: SINTOMI E CURE

I sintomi del carcinoma papillifero della tiroide si manifestano soprattutto in stadio avanzato, causando disfonia, disfagia e dispnea. Il professor Revelli, su “La Repubblica”, ha detto che, se la tiroide ha dimensioni importanti e il tumore ne coinvolge la capsula e interessa i linfonodi del collo, oppure ha carattere di aggressività, l’intervento è più articolato: si tolgono anche i linfonodi del collo e si deve seguire una terapia specifica, radiometabolica.

Una cura che “non ha nulla a che vedere con chemio o radioterapia: consiste nel somministrare una dose adeguata di iodio radioattivo 131 che si va a localizzare nelle eventuali cellule tiroidee rimaste nel collo e le brucia. Si chiama anche siderazione. A questo punto si considera guarita la stragrande maggior parte dei pazienti. Non riuscirci sarebbe una grande sfortuna”.