E se il Cardinal Angelo Becciu fosse travolto da processi e scandali come avvenne all’epoca al grande giornalista e conduttore Enzo Tortora (salvo poi scoprire il più grande errore giudiziario dell’era moderna in Italia)? Se lo chiede e dà una sua lettura piuttosto netta il fondatore di “Libero Quotidiano” Vittorio Feltri riflettendo sulle ultime novità emerse in Vaticano con il rinvio a giudizio del prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.
«È chiaro come il sole che il processo che sta per partire il 27 luglio e che vede dieci imputati, tra cui il cardinale Angelo Becciu, si regge non tanto su dati di fatto accertati, ma sulle dichiarazioni di un pentito. Non due, tre, quattro anzi 24 pentiti come capitò a Giulio Andreotti, ma a uno solo, come già accadde a Enzo Tortora», scrive il decano giornalista su “Libero”. Quel pentito è Monsignor Alberto Perlasca, anche lui però implicato nella vicenda dei presunti scandali nei Fondi della Segreteria di Stato: «scagionato a priori senza alcuna spiegazione, tirato fuori immacolato dai presunti turpi affari del palazzo di Londra, di cui era stato per sua stessa ammissione un protagonista», rintuzza Feltri identificando Perlasca come una «persona trasformata in pistola fumante».
“UN PROCESSO CHE SI PREVEDE NON MOLTO TRASPARENTE”
Ci va giù pesante, al solito, Vittorio Feltri nel considerare come tg, quotidiani e quant’altro abbiano dato piena ragione e spazio alle accuse contro il Cardinale Becciu, ipotizzando anche un poco “chiaro” rapporto con la presunta “dama bianca” Cecilia Marogna. Se ci si rifà al metodo del giudice Falcone, ogni pentito è utile solo se credibile, se insomma «abbia davvero detto tutto, o si sia ritagliato verità su misura»: ecco, Feltri insinua che questo potrebbe non essere avvenuto con Perlasca e con le indagini portate avanti dal Tribunale Vaticano diretto dall’ex procuratore di Roma Pignatone. «Il fatto è che a Londra c’è già stato un processo che ha ridotto in polvere le argomentazioni basate su Perlasca. Lo scorso marzo il giudice di Londra che ha dovuto pronunciarsi sulla richiesta di arresti e sequestri chiesta alla giustizia di Sua Maestà dai procuratori vaticani è stato addirittura irridente», sottolinea Feltri, citando anche le recentissime accuse molto dirette fatte dai pm vaticani contro i giudici di Londra (hanno parlato di «conclusioni aberranti» della Corte Uk sul procedimento Becciu-Torzi). Il giudice inglese Baumgartner insomma non crede affatto che Becciu c’entri qualcosa con l’intera vicenda giudiziaria: «parla di indagini caratterizzate da “omissioni”, elementi “distorti“ e dal “chiaro travisamento» dei fatti“». Insomma, non tutto sarebbe già apparecchiato per un processo del tutto “libero”, insinua ancora Feltri: «Nessuno ha sollevato il problema del conflitto di interessi che attraversano questo tribunale vaticano. Si noti che nella medievale procedura giudiziaria dello Stato del Papa non esiste il gip. La requisitoria dei pm (nel nostro caso Diddi) è una sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio, e avallata per tale nel nostro caso da Giuseppe Pignatone, che del Tribunale vaticano è presidente». Con un bizzarro ma potenzialmente sensato paragone tra le inchieste di Mafia Capitale e Segreteria di Stato, il “collante” resta Pignatone di cui Feltri non sembra nutrire una grande fiducia: «Oggi si trovano a reggere la medesima pigna di carte, e giudicheranno un tale a cui il Papa ha già mozzato le orecchie dieci mesi prima di un regolare processo. Che non parte proprio con l’idea di essere un monumento alla trasparenza».