Il cardinale Ghirlanda spiega le “dimissioni” del Papa

Intervistato dal Giornale, il cardinale Gianfranco Ghirlanda, uno dei principali canonisti italiani, nonché rettore della Pontificia Università Gregoriana, ha spiegato le motivazioni e la valenza del documento di rinuncia firmato da Papa Francesco. Non si tratterebbe, inoltre, di un caso isolato nella storia, ma precedentemente era stato siglato anche da Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, ed aprirebbe un’importante questione legislativa.



Il documento, spiega il cardinale Ghirlanda, è concretamente una rinuncia alla carica “in caso di impedimento medico (..) così grave che gli impedisca di governare. Il problema”, spiega, “è che non c’è una norma che regoli l’impedimento della sede della diocesi di Roma. Si ha una legge speciale per la sede vacante, ma non c’è una legge sulla sede” malata. Secondo il cardinale Ghirlanda, a differenza di quanto allarmantemente ventilato negli ultimi giorni, “non si parla di dimissioni da parte del Papa, ma di una rinuncia (..) che diventerebbe efficace nel caso in cui dovesse cadere in una malattia”. Eppure, il problema legislativo risiede in “chi dichiara che il Papa si trova in una situazione di impossibilità di governare? Nessuno può deporre il Papa, neanche i cardinali”.



I precedenti storici delle dimissioni papali

Insomma, la legislazione secondo il cardinale Ghirlanda serve perché “almeno si saprebbe cosa fare con chiarezza in una tale circostanza”. Secondo lui, una buona idea sarebbe “un equipe di medici, sia della Santa Sede che non, che convergono sul parare” dell’impossibilità di governare per il Papa, e che sia “irreversibile”. Dopo i cardinali si dovrebbero riunire, dichiarare l’incapacità di governare del Papa e “verrebbe indetto il Conclave. Sarebbe da determinare anche chi sceglie i medici e con quali criteri”, spiega.



Le dimissioni papali, inoltre, racconta ancora il cardinale Ghirlanda, avrebbero degli importanti precedenti storici. “Pio XII dopo il crollo del fascismo [firmò] una lettera di dimissioni nel caso in cui fosse stato deportato dai nazisti. Anche Paolo VI aveva scritto due lettere: una di rinuncia e l’altra indirizzata al segretario di Stato in cui lo pregava di riunire i cardinali e di esortarli ad accettare la sua rinuncia”. L’ultimo, conclude il cardinale Ghirlanda, fu “Giovanni Paolo II che scrisse un documento di rinuncia nel 1989″ disponendo che si eseguisse “in caso di infermità che si presumesse inguaribile e di lunga durata e che impedisse di esercitare sufficientemente le funzioni”.