Maria Stefania, detta “Maris”, è la sorella del cardinale Carlo Maria Martini, che ha voluto ricordare attraverso una lunga intervista pubblicata sulle colonne del “Corriere della Sera”. La sua narrazione è cominciata dall’infanzia e dal periodo in cui suo fratello andava a scuola, dove risultava essere il più bravo, tanto che “Francesco, il nostro fratello più grande (ucciso purtroppo da un ictus 100 giorni dopo essersi sposato, ndr), lo picchiava gridando: ‘Sei un perfettino, ti faranno Papa!'”.



Un auspicio che Carlo Maria Martini cercava di non udire nemmeno: “Non voleva assolutamente – ha riferito Maris –. Lo ricordate al funerale di Wojtyla, alla vigilia del conclave del 2005? Arrivò zoppicando, appoggiato a un bastone nodosissimo. Non gli avevo mai visto un bastone così in vita sua. Si sedette a San Pietro e lo appoggiò davanti, ostentandolo in mondovisione il più possibile. Era il suo modo di dire: ‘Non votatemi’. I suoi 35 voti in conclave? Dicono che li fece confluire su Ratzinger. Avevano idee diverse, ma mio fratello lo considerava l’uomo giusto per la Chiesa in quel momento”.



LA SORELLA DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI: “LE CERIMONIE LO ANNOIAVANO, I FORMALISMI LO INFASTIDIVANO”

Sempre al “Corriere della Sera”, Maris ha raccontato che fu Papa Wojtyla a mandare il cardinale Carlo Maria Martini a Milano, ricordando un episodio: “All’ordinazione episcopale, quando mio fratello si prosternò davanti al Papa, vidi che aveva le scarpe bucate. Il vescovo africano al fianco le aveva lucidissime. Carluccio non amava il Vaticano, si sentiva soffocare. Le cerimonie lo annoiavano, i formalismi lo infastidivano. Indossò le calze rosse da cardinale sbuffando”.



All’ombra del Duomo, però, il cardinale Carlo Maria Martini (che incontrò anche Alfonso Signorini, il quale gli parlò della sua omosessualità, ndr) si trovò bene: “Celebrò matrimoni e battesimi in carcere, fece incontrare carnefici e vittime, si fece consegnare due sacchi pieni di armi. Al suo segretario aveva detto solo: ‘Ti porteranno questi due sacchi, tu ritirali’. Era la resa incondizionata dei terroristi”. Si trasferì a Gerusalemme, dove secondo lui era meraviglioso morire, ma era terribile essere moribondi: “Viveva nel Pontificio istituto biblico, aveva il Parkinson, gli servivano cure, a volte cadeva, ma non voleva disturbare i confratelli, che passavano tutto il giorno fuori a studiare. Sognava d’essere sepolto nella valle di Giosafat, dove si terrà il Giudizio universale; è venuto a morire a Gallarate”.