Era un asso del football australiano, conteso tra le società più importanti, e si vede. George Pell ha scelto il seminario, ma resta un appassionato di football e dello sport in genere, e la sua statura, la sua mole dicono di un fisico forgiato dall’agonismo. Gli è servito per portare il peso tremendo di un’infamia, e per svagarsi un po’ in carcere, tifando per le squadre del cuore in tv.



404 giorni di prigione in isolamento, con l’accusa di aver abusato di due ragazzi dopo una celebrazione solenne, con concelebranti e chiesa piena, in sacristia, in cinque minuti, con addosso i paramenti sacri, prima di uscire sul sagrato per salutare i fedeli. Accuse arrivate ad anni di distanza, confermate da una sola sedicente vittima, con problemi di tossicodipendenza e devianze psichiche, mentre l’altra vittima ha portato le sue certezze all’altro mondo, da tempo.



Purtroppo al processo in tribunale si è sovrapposto, sopravanzandolo, un processo mediatico accanito e feroce: l’indignazione, lo scoramento per troppi silenzi e l’evidenza spesso taciuta di abusi seriali di religiosi, uno scandalo che ha creato una frattura, nella fiducia, nell’affezione alla Chiesa; ma non solo, la ricerca di un capro espiatorio, noto, esposto, e considerato “conservatore”, specialmente su quei temi etici che scatenano i fautori del progresso identificato con la disgregazione dei capisaldi dell’antropologia cristiana, con la guerra contro il presunto oscurantismo dei cattolici tradizionalisti. Parlare di famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna non si può più, la sentenza di condanna per chi ci provi è maggioritaria e sobilla la gogna. Pell in carcere faceva così comodo, le telecamere indulgevano sui cartelli insultanti delle manifestazioni di piazza.



Poi, dopo la condanna a 6 anni, l’Alta Corte lo scagiona totalmente, per totale mancanza di prove oltre ogni ragionevole dubbio. E Pell torna in Italia, da dove era partito volontariamente (era cittadino vaticano, poteva non farlo), da Prefetto del Dicastero vaticano dell’economia, praticamente un superministro scelto apposta da papa Francesco per dare una robusta e fastidiosa sistemata alle finanze della Santa Sede.

Torna, viene ricevuto dal papa che, insieme a Benedetto XVI, non gli ha mai fatto mancare il suo sostegno, e non ha più alcun incarico. Passeggia, libero ormai dalle restrizioni del Covid, incontra gli amici, riflette, e scrive. In inglese è già uscito il secondo volume, l’Italia vede in questi giorni in libreria il primo tomo tradotto del suo Diario di prigionia, edito da Cantagalli. Asciutto, senza indulgere alla lamentela o alla sofferenza. È una testimonianza, di fede, di devozione, di pazienza, di ricerca comunque della giustizia. Nessun rancore, nessun vittimismo.

Per 404 giorni gli è stato impedito di celebrare la Messa – soltanto nelle galere delle dittature comuniste – perché “ai detenuti sono vietati gli alcolici”, e fingiamo di credere alla motivazione. Ma ha ricevuto quando poteva la Comunione dal cappellano, suor Mary, con cui ha stretto un’amicizia profonda. Ha ricevuto migliaia di lettere da ogni parte del mondo, dense di affetto e promessa di preghiere. Ha apprezzato la fortuna di avere un bollitore e la tv, appunto, di poter fare due passi nel cortile che lui stesso provvedeva  a spazzare. Il vescovo van Thuan era stato ben peggio, ricorda.

Ad altri le dietrologie sulle mani che avrebbero apprezzato, se non orchestrato, la sua “fine” politica, a qualcuno ancora il sospetto su una sentenza che ritirava fuori la chiave che si voleva gettare per sempre. I fatti li racconta lui stesso, di suo pugno, e vale la pena di leggerli.

Il card George Pell è ospite di Monica Mondo oggi, 29 maggio ore 20.50, a Soul, su TV2000. Canale 28 digitale terrestre, 157 Sky, 18 Tivusat. Lunedì 31 maggio su radio inblu2000

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