IL “MODELLO GERUSALEMME” PER LA CHIESA GLOBALIZZATA: PARLA IL CARDINALE PIZZABALLA

Serve un modello “Gerusalemme” per la Chiesa di oggi: a dirlo è il neo-cardinale Pierbattista Pizzaballa, in una intervista a “La Repubblica” alla vigilia dell’inizio del Sinodo con la Santa Messa di Papa Francesco accompagnato proprio dai 21 nuovi cardinali nominati in Concistoro lo scorso 30 settembre. Il modello della Terra Santa, senza eliminare le difficoltà o problematiche endemiche, serve a far capire quale strada debba essere percorsa dalla Chiesa Cattolica per confrontarsi sempre al meglio con la complessa realtà secolarizzata circostante.



La sua nomina a cardinale mantenendo il ruolo di Patriarca latino di Gerusalemme è una grande occasione per Pizzaballa: «al di là della persona, sia un riconoscimento della centralità di Gerusalemme nel contesto mediorientale e della Chiesa. Gerusalemme è un laboratorio: è l’unica realtà dove tutte le Chiese vivono insieme, in un regime condominiale non privo di difficoltà, e dove il dialogo interreligioso è vitale, perché dal rapporto tra ebrei, cristiani e musulmani dipende la vita della città». È un laboratorio che può dire molto alla Chiesa di oggi, inserita in una società sempre più globalizzata, pluriculturale e multireligiosa: «Le immigrazioni cambieranno il volto delle società e la renderanno più simile a Gerusalemme. Il mondo occidentale attende soluzioni ai problemi, Gerusalemme insegna, con molto realismo, che ci sono problemi che non hanno soluzioni immediate, con i quali bisogna imparare a vivere». Ecco perché, sottolinea ancora il Card. Pizzaballa, la Chiesa può e dece contribuire con la strada del dialogo sincero, ricercando un linguaggio che non sia esclusivo ma che di contro non elimini le differenze di ciascuno.



CARD. PIZZABALLA: “MIGRAZIONI? INTEGRARE CHI ARRIVA MA ANCHE CHI VIENE QUI DEVE PROVARE A INTEGRARSI”

Per il Patriarca cattolico in Terra Santa, la Chiesa odierna è sempre più globale: a differenza del passato, la grande maggioranza delle Chiese «è nata in questi ultimi 50, 60 anni, in Asia, in Africa. I cardinali da tutto il mondo devono portare a Roma, a Pietro, questo sguardo, che deve imparare ad accogliere questa visione globale». Le tensioni e i problemi sono inevitabili, raccomanda il cardinale Pizzaballa, ma non eliminano la bontà di tale “progetto”: «La Chiesa è nata a Pentecoste, a Gerusalemme, dove Parti, Elamiti, Medi, Ebrei, Arabi sentivano parlare delle meraviglie di Dio ma si capivano. L’importante è che ci sia una comprensione comune sulle questioni fondamentali, fede, preghiera, liturgia».



Il ruolo tutto da giocare per la Chiesa italiana ed europea, secondo Pizzaballa, è quello di aiutare a gestire tale situazione di “complessità” non rinunciando alla verità ma permettendo ad ogni realtà l’espressione meritevole. Davanti all’ingombrante e sempre più crisi politica delle migrazioni in tutto l’Occidente, la “ricetta” ovviamente non c’è ma per il cardinale la Chiesa deve poter lavorare su due aspetti altrettanto fondamentali: «aiutare a gestire questa situazione, che non saranno i muri a risolvere, e cercare di comprendere come interpretare anche dal punto di vista sociale questo fenomeno». Pizzaballa mette in guarda chi ritiene che l’unica soluzione sia un’accoglienza “tout court”: serve infatti sia integrare chi arriva, ma pure «chi arriva deve integrare quel che trova. Ci sono aspetti della vita sociale europea e occidentale che non sono oggetto di discussione: la libertà di coscienza, l’uguaglianza tra uomo e donna».