Una lunga intervista sul Corriere della Sera di Aldo Cazzullo al Cardinal Gianfranco Ravasi mostra un altro “capitolo” della lunga sfida a distanza tra il Vaticano e il Ministro dell’Interno Matteo Salvini: l’origine dello “scontro” è sempre lo stesso, quel rosario sventolato in piazza durante i comizi (specie quello di Milano prima delle Europee, ndr) ma anche il citare il Vangelo e l’affidare la propria patria e azione politica alla protezione della Madonna vengono visti tutti come “simboli” non graditi ad una larga parte delle gerarchie cattoliche. E Ravasi non è da meno: «credere è un rischio. Fede e religione non sono sinonimi, anche se tra loro connessi. La fede è un’esperienza esistenziale, una scelta radicale. La religione è la manifestazione esteriore. Agitare il Vangelo, ostentare il rosario, baciare il crocefisso non fa di te necessariamente un credente» risponde il Cardinale ad una domanda posta sulla controversa figura di Giobbe nella Bibbia, con Ravasi stesso cita nella sua risposta «Giobbe dice a Dio: “Quand’anche tu mi uccidessi, io continuerò a credere in te”. Nella sua fede c’è un elemento paradossale. L’itinerario del suo credere può comprendere persino la blasfemìa. Giobbe accosta Dio a un arciere sadico che scaglia frecce contro di lui, a un leopardo che affila gli occhi su di lui, al generale trionfatore che gli sfonda il cranio».



CARDINAL RAVASI “CONTRO” SALVINI: TRA ROSARI E RITI MAGICI..

Inevitabile la contro replica di Cazzullo che chiede al Cardinale se allora il Ministro Salvini sbagli nel manifestare segni e simboli cattolici all’interno del suo agire politico: «sono segni che di per sé non rappresentano l’autenticità del credere. Cristo condanna chi prende i primi posti in sinagoga, chi allunga i filattèri, le pergamene con i versetti della Torah. Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie. Non esiste l’autosalvezza. Non ci si salva con le manifestazioni esteriori, ma con la profonda adesione alle scelte morali ed esistenziali. Non è il gesto rituale che salva. Il sacramento è “opus operatum”, atto oggettivo segnato dalla presenza divina, ma anche “opus operantis”, atto soggettivo, scelta vitale e morale. Altrimenti è rito magico. Magia». Secondo Ravasi i cattolici in politica oggi contano meno del passato perché è difficile ricostruire una struttura con esplicita presenza cattolica, «È però possibile e necessario essere una spina nel fianco della società. Non avere paura di andare controcorrente»: nel merito del possibile scollamento tra l’opinione pubblica e Papa Francesco dopo la difesa dei migranti (secondo Cazzullo), Ravasi replica «Il Papa parla da cristiano, la sua voce ci ricorda i nostri valori. Come diceva padre Turoldo, non dobbiamo inseguire il consenso, né il dissenso fine a se stesso; dobbiamo inseguire il senso». C’è poi il tempo per un piccolo “retroscena” sul famoso conclave del 2003, con la sorpresa dell’elezione di Francesco dopo Papa Benedetto XVI: «una sorpresa. Quando entrammo in Conclave, in pochi si attendevano che dopo Benedetto sarebbe stato scelto — e in pochissime votazioni, non più del Conclave precedente — un tipo diverso di Papa, con una visione così innovativa. Tenga conto che tra noi in Conclave non si parla più di tanto. Il rito è lunghissimo. Ognuno viene chiamato per nome, deve prendere la scheda in mano, posarla su un vassoio d’argento, passare sotto lo sguardo severo del Cristo di Michelangelo, recitare una formula latina di “automaledizione”, in cui ci si augura il giudizio divino se non si compie una scelta secondo coscienza e per il bene della Chiesa. Non resta molto tempo per parlarsi. Qualche giorno dopo l’elezione di Francesco, incontrai sul Lungotevere un signore che mi disse: “Resto ateo, ma comincio a credere allo Spirito santo”», conclude Ravasi nell’intervista al Corriere della Sera.

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