Internet e i social sono come l’atmosfera, la respirano tutti, anche se è inquinata. Il paragone è stato fatto dal cardinale Gianfranco Ravasi, secondo cui quello che conta è “avere una maschera che la depuri“. Nel caso della Rete, la maschera è rappresentata dal “senso critico“, che però non tutti vogliono o hanno. Il presidente emerito del Pontificio consiglio della Cultura ne parla al Quotidiano Nazionale, precisando quanto sia superata la definizione del sociologo Marshall McLuhan, secondo cui i mezzi di comunicazione sono un’estensione della persona. “Oggi invece sono un ambiente. Ci viviamo immersi. Quest’atmosfera ci impegna, ma ci rende anche schiavi“.
Questo non vuol dire che i social ci rendono peggiori, ma senza dubbio ci espongono a dei rischi. “C’è una moltiplicazione esponenziale dei dati disponibili. Questo può produrre un’anarchia intellettuale e morale… Guardi gli studenti e le loro tesine. Su ogni singolo vocabolo ci sono 20mila risultati. Chi li aiuta a selezionare? Vengono sconvolte le gerarchie oggettive dei valori“, analizza il cardinale Ravasi. Il secondo rischio riguarda l’apparente democratizzazione, perché “dietro la deregulation della globalizzazione informatica si nasconde una sottile operazione di condizionamento. Il controllo delle grandi corporation“.
“SERVE UNA EDUCAZIONE INFORMATICA NON SOLO TECNICA”
Il terzo e ultimo rischio evidenziato dal cardinale Gianfranco Ravasi a QN è “il trionfo delle fake news, delle fandonie travestite da verità pseudo-oggettiva“. Ma parla anche di una “parola colorata“, quella “violentissima, degenerata, minacciosa” che però viene accettata proprio tramite tali meccanismi. Tornando nel mondo reale si trasforma in violenza. Ma Ravasi non si definisce pessimista: “Il realismo non giustifica il pessimismo radicale“. Quel che bisogna fare è interrogarsi e agire, non solo per l’avvento dell’intelligenza artificiale. “Bisogna partire dalle basi. Serve educazione informatica. Non solo per la tecnica, ma per i fornire capacità critica“. Ravasi cita le esperienze di Israele e Francia e indica la scuola come il luogo giusto.
“In classe non bisogna solo istruire, inserire dati, ma anche educare, fare uscire la persona nella propria umanità. Oggi la scuola è quasi muta, come la cultura. Mancano figure che sapevano incidere, come don Lorenzo Milani, padre Turoldo, Norberto Bobbio. Presenze vive, che educavano“. Ma anche la Chiesa ha un ruolo importante. Lo dimostra Papa Francesco, una “figura che incide” secondo il cardinale Ravasi. “La Chiesa non sarà più quel cuore del villaggio a cui la domenica tutti accorrevano, ma è una presenza che cerca una nuova strada“. Infine, spiega che da Internet ha imparato che questa è un’epoca di simboli: “In fondo la tecnica di Gesù è molto simile a Twitter. I suoi ‘loghia’, i suoi detti sono più sintetici di un cinguetti“.