Fragile rapporto tra Stato e cristiani in Iraq, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti invoca un immediato ritorno del cardinale Sako a Baghdad. “Siamo stati molto colpiti dalle vessazioni subite dal cardinale Sako” afferma il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Matthew Miller, così come non è passata inosservata la notizia della sua partenza da Baghdad.



Il Dipartimento di dichiarato che “non vede l’ora di un ritorno sicuro” del cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, chiudendo in questo modo un evento che rappresenta un “colpo per la libertà religiosa” dell’Iraq, auspicando al contempo che le autorità irachene “cambino la loro decisione”. È dunque questo l’ultimo aggiornamento di una situazione delicatissima che si è pericolosamente incrinata a partire dalla settimana scorsa, cioè da quando il presidente iracheno Abdul Latif Rashid ha revocato il decreto 147 del suo predecessore Jalal Talabani, tramite il quale si riconosceva il cardinale Louis Raphaël Sako come patriarca e leader della Chiesa caldea. Un riconoscimento che al contempo lo rendeva responsabile dei beni ecclesiastici. Una decisione, quella del presidente Rashid, che arriva dopo mesi di rivendicazioni della guida della comunità cristiana e l’amministrazione dei suoi beni da parte delle Brigate Babilonia, filo iraniane guidate da Ryan Kaldani.



Mons. Pizzaballa: “cardinale Sako, lei non è solo”. L’augurio del patriarca di Gerusalemme

Si complica ulteriormente la situazione dei cristiani in Iraq e il loro rapporto con lo Stato. L’incaricato d’affari della nunziatura apostolica nel Paese, monsignor Charles Lwanga Ssuuna, nel corso di un incontro con il presidente Rashid ha sottolineato che l’amministrazione dei beni della Chiesadovrebbe essere esercitata liberamente dai capi delle Chiese”.

Martedì scorso, inoltre, il patriarca latino di Gerusalemme monsignor Pierbattista Pizzaballa ha espresso solidarietà al cardinale Sako, affermando che “lei non è solo. La vostra Chiesa non è sola. La abbracciamo e le auguriamo un veloce e felice ritorno a Baghdad, nella pace”. Un ritorno, come precedentemente detto, fortemente invocato anche dallo statunitense Dipartimento di Stato.