DIALOGO CARD. ZUPPI CON PAOLO MIELI: LE GUERRE, LA MISSIONE DI PACE E LA NECESSITÀ DI PARLARE CON IL NEMICO

Per poter fare davvero la pace occorre parlare, discorrere, anche scendere a patti con chi quella pace l’ha messa a forte rischio iniziando una guerra: lo ha spiegato il Presidente della CEI Card. Matteo Maria Zuppi dialogando sabato scorso con Paolo Mieli all’incontro “Giustizia e perdono” organizzato Sulmona dalla Fondazione Carispaq. Per chi come l’arcivescovo di Bologna incarna ormai da due anni un ruolo delicatissimo come quello “inviato speciale” del Vaticano per la missione di pace in Ucraina, non è solo il “parlare” ma è appunto il “fare” la pace che rende tutta la differenza del caso in un periodo altamente polarizzato (e violento) come il nostro.



Dagli ampi stralci riportati dal quotidiano della CEI “Avvenire” sul dialogo Zuppi-Mieli emerge un’attenzione particolare dello storico giornalista sui risultati concreti che il n.1 dei vescovi italiani ha saputo portare a casa nella mediazione con la Russia su prigionieri e bambini ucraini deportati dopo l’invasione del Donbass nel febbraio 2022: con una guerra ancora in corso e uno stallo sostanziale sulla diplomazia internazionale ferma ancora allo scontro totale NATO-Russia, la missione di pace di Zuppi è forse l’unico elemento concreto che abbia generato un minimo di dialogo tra le parti. È difficile, quasi scoraggiante per quanto poco si riesce a fare, ma qualcosa avviene spiega ancora l’arcivescovo: «la è fatta di tanti piccoli mattoni. Un ponte senza i singoli mattoni non c’è. I mattoni siamo noi».



Per avere la pace “perenne” occorre impegnarsi, non è data in partenza e non può essere vista come scontata, anche nell’Europa lontana dalla guerra dopo il 1945: «la pace si fa con chi fa la guerra», sottolinea Zuppi spiegando perché sia tutt’altro che “banale” come concetto anche logico, in un mondo polarizzato come quello che emerge nelle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Serve dare la mano e serve darla a tutti, anche a quelle insanguinate di chi ha cominciato la guerra: «Capire anche il dolore degli altri è davvero la premessa della pace», questo la chiave di quanto detto da Zuppi non solo nell’evento con Paolo Mieli ma in tutte le precedenti “tappe” della missione di pace che lo hanno portato in Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti.



ZUPPI, ‘PARLARE’ DI PACE E FARE IL PERDONO: LA FORZA UMILE DELLA CHIESA

Fare la pace non significa sicuramente fare finta di non vedere responsabilità e violenze di chi aggredisce, semmai serve trovare ogni modo pacifico possibile «perché si possa ricostruire quello che la guerra ha distrutto». In questo senso, continua il Presidente CEI, non può esserci giustizia e pace senza perdono, e qui la tradizione cristiana ha davvero qualcosa da testimoniare al mondo, anche oggi. Un perdono che non “dimentica” ma che al contrario «affronta e risolve le cause».

Per questo bisogna andare incontro all’altro, andare incontro a chi è considerato (anche a ragione) il nemico per provare a sedersi in un tavolo dove le mani insanguinate e violente non devono comunque essere un “ostacolo” alla pace finale: riconoscere le ragioni del nemico serve, secondo Zuppi, per trovare la soluzione e non per “legittimare” indegne violenze e tragedie. «È solo quando le ragioni dell’altro diventano un po’ anche le mie, c’è la possibilità di una vera riconciliazione», ragiona il cardinale scelto da Papa Francesco per la missione di pace in Ucraina. È un atto di fede da un lato – «Credere nella luce quando c’è buio» – ma è anche un lungo lavoro umano e umanistico per sforzarsi il più possibile nel raggiungere la pace contro chi ha mosso guerra per primo: costruire la pace, conclude il Card. Zuppi, è trovare altre soluzioni alla vendetta e alla “risposta” di guerra, «il multilateralismo, la scelta di perdere sovranità per una struttura che sia in grado di ricomporre i conflitti, è qualcosa di straordinario che stiamo perdendo».

L’ONU oggi è troppo debole, ma non può essere sostituito da un mero “equilibrio” della paura, come avvenuto durante la Guerra Fredda e come in parte anche oggi: serve altro, serve spendersi in prima persona non solo per “dire” ma per “fare” letteralmente la pace. Come riconosce Mieli nel parlare dell’inviato del Papa, «Il cardinale Zuppi non è un uomo che usa parole di perdono e di pace. No, durante le guerre, fa il perdono e fa la pace». È questa forza più “umile” che “tonante” che rende la Chiesa, ancora oggi, uno dei pochi strumenti in grado di fare la differenza: per ora solo nel “piccolo”, ma nei prossimi mesi, forse, smuovendo anche altri soggetti internazionali.