«Per il viceministro della Salute Sileri è il contact tracing il problema per la risalita dei contagi? Da epidemiologo dico assolutamente no: ormai ci sono troppi casi per poterlo ritenere uno strumento utile nei confronti del virus. Semplicemente, oltre certi numeri, non è più strategico»: parla così al Corriere della Sera l’epidemiologo dell’Università degli Studi di Milano, professor Carlo La Vecchia. La situazione attuale è molto seria anche se è recuperabile prima di eventuali misure “restrittive” pesanti: i malati ad oggi sono i condizioni critiche e non gravi anche se nota la differenza tra la carica virale odierna e quella molto meno presente dei positivi al Covid in estate. «È vero. Ci sono soggetti che diffondono il virus molto più facilmente di altri, tenendo però presente che anche la “predisposizione” ad essere contagiati cambia. Misurare la carica virale su vasta scala richiede ancora tecnologie sofisticate e costose. In più la moltiplicazione delle molecole Rna del virus varia da soggetto a soggetto; ad esempio ci sono asintomatici con carica virale altissima. È quindi difficile, su base scientifica, correlare l’ alta carica virale al numero dei ricoveri», sottolinea ancora La Vecchia.



LA CARICA VIRALE E IL TRACCIAMENTO

Ad oggi, segnala l’epidemiologo, la diffusione della pandemia in Italia è molto differenze da marzo: «abbiamo un numero di positivi enormemente più alto ma un numero di ricoveri in terapia intensiva limitato, cosi com’ è limitato (sempre in relazione a marzo e aprile) il numero dei decessi per Covid». Per La Vecchia il vero problema dunque non è il tracciamento, ormai considerato quasi “inutile”, bensì la media intensità delle ospedalizzazioni (i non gravi insomma): «non abbiamo un sistema di medici di base efficiente come quello tedesco che si prende cura di questi soggetti. Occorrono, come ha ricordato il professor Remuzzi, ospedali periferici con 2-300 posti letto, destinati a questi ricoveri. Questo aiuterebbe enormemente le terapie intensive». Gli strumenti che mancano sono i medesimi di marzo, ovvero le centinaia di Usca ancora da aprire (Unità speciali di continuità assistenziale), dato che «i decessi avvengono per insufficienza respiratoria: valutare la malattia nella prima fase è fondamentale per gestirla al meglio e non mandare in tilt gli ospedali».

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