L’Assemblea dei soci della Carige ha approvato la proposta di aumento di capitale di 700 milioni oltre a un bond di ulteriori 200 milioni. La validissima stampa on line, specialistica e non, teneva il conto alla rovescia già da tempo, non senza ragione. Primo, perché il socio forte Malacalza esprimeva più di qualche riserva, come confermato dal comportamento di Vittorio Malacalza che ha lasciato prestissimo l’assemblea (senza registrarsi e quindi permettendo l’esito della votazione senza il suo peso). Secondo, perché un esito diverso sarebbe stato una ben strana macchia per il Paese e per il sistema industriale. Proprio mentre parte la difficile, ma non troppo, nuova avventura di un quasi nuovo Governo non più nemico di tutti, ma anzi desideroso (nei proclami) di ricucire rapporti e sane collaborazioni. E poi far fallire così una banca per “pochi” milioni di euro, per di più con una struttura di business rispettabilissima, maturata pur sotto lo scacco di una lunghissima stagione di governance padronale, sarebbe stato stupido.



Oltretutto la parte ardua del progetto di salvataggio non doveva e non dovrebbe essere stata questa, ma quella consumatasi in piena estate. Quando i due attori principali di questo progetto, il Fondo interbancario di tutela dei depositi e Cassa centrale banca, hanno dovuto mettere a punto ruoli, pesi e contrappesi, con non pochi problemi forse più ciascuno in casa propria che non nella collaborazione nel progetto. Perché è chiaro che il Fitd non può fare troppo a lungo il grande socio di una significativa realtà bancaria, ma interviene solo per la validissima ragione che il fallimento sarebbe costato un’enormità al sistema (si stima sugli 8 miliardi). E dall’altro lato Cassa centrale banca, uno dei due poli aggregatori nella riforma del credito cooperativo, entra giustamente nel disegno ancora in corso di questo pezzo importantissimo del sistema creditizio, con una sfida che è anche culturale e di ripensamento dei concetti e delle identità.



Perché in termini “solidaristici” il percorso di salvataggio di Carige ha tutte le caratteristiche sostanziali della “solidarietà” . Si parla infatti di una realtà territoriale nazionale, di un know how a servizio del sempre particolare tessuto economico e produttivo italiano, di forza lavoro e occupazione nazionale. In un momento in cui fare banca, riparare una medio-grande banca dopo una lunga crisi, con una Germania a Pil 0, con un’ Italia secondo l’Ocse a previsione Pil circa 0 fino al 2020, è un’operazione in cui prevale nettamente il senso di solidarietà verso il Paese, più che lo schema giuridico di un obbiettivo di profit esplicito. Oggi pensare su se e come fare profit industriale in Italia, questo è già solidarietà.



La notizia oggi non sarebbe dovuta esserci. All’hotel Tower di Sestri Ponente si è presa una decisione ragionevole, da parte di qualcuno encomiabile dopo aver visto bruciare il valore delle proprie azioni. La notiziona sarebbe stata l’incomprensibile contrario. La storia va seguita da adesso. È adesso che parte il conto alla rovescia.

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