Esponente della resistenza, primo dei protettori della neonata Repubblica, nonché l’uomo che sconfisse le Brigate Rosse e arrivò ad un passo dal fare lo stesso con la mafia e – soprattutto – Cosa Nostra; Carlo Alberto dalla Chiesa è stato uno delle colonne portanti della storia repubblicana, brutalmente assassinato da quel Totò Riina che qualche anno dopo sarebbe stato condannato all’ergastolo in uno degli omicidi più drammatici degli ultimi decenni. Era il 1982 e il generale Carlo Alberto dalla Chiesa – diventato da pochi mesi prefetto di Palermo – lasciò dietro di sé solamente tre figli: Simona, Rita (la conduttrice televisiva) e Nando, quest’ultimo ospite in serata nel salotto di Propaganda Live, dove quasi certamente parlerà della lotta alle mafie e della famosa storia del metodo inventato da suo padre che a distanza di quasi 40 anni ha – indirettamente – portato all’arresto di Matteo Messina Denaro.



Ma stiamo correndo troppo e prima di arrivare a Riina, Denaro, alle Brigate Rosse e all’omicidio vale la pena ricordare l’inizio di tutto, nel 1920 a Saluzzo – vicino a Torino – dove il generale nacque e crebbe al fianco di Romano dalla Chiesa, suo padre nonché ufficiale dei Carabinieri, e di Maria Laura Bergonzi. Forte dell’esempio di suo padre, Carlo Alberto dalla Chiesa decise di indossare la divisa poco dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale guadagnandosi rapidamente due croci di guerra al valore per aver bloccato l’assedio dei partigiani jugoslavi.



Carlo Alberto dalla Chiesa: dalla resistenza alla lotta contro le Brigate Rosse

Proprio tra le file dell’esercito, Carlo Alberto dalla Chiesa maturò una certa attenzione verso le ingiustizie e dopo l’armistizio del 1943 capì di non voler combattere contro i partigiani, inimicandosi i nazisti e scappando – quasi per miracolo – per unirsi a chi da lì a pochi anni avrebbe liberato l’Italia. Dopo la Liberazione a lui fu affidato l’importantissimo incarico di garantire la sicurezza della primissima Presidenza del Consiglio della nostra storia repubblicana. Fu proprio in quegli anni che Carlo Alberto dalla Chiesa conobbe Dora Fabbo che divenne madre dei suoi tre già citati figli, poi morta d’infarto nel 1978.



Iniziarono una serie di trasferimenti per tutta la Penisola, fino al 1974 in cui fondò il Nucleo Speciale Antiterrorismo e con la promessa (mai realizzata) di ottenere ‘Poteri speciali‘ da parte del Governo, grazie all’aiuto del pentito Patrizio Peci giocò un ruolo fondamentale – se non il più importante in assoluto – nella sconfitta delle Brigate Rosse. Saltiamo così al 1981 in cui Carlo Alberto dalla Chiesa raggiunse il massimo grado di Vicecomandante generale nell’Arma dei Carabinieri, ottenendo così anche l’incarico – l’anno successivo – di Prefetto di Palermo.

Come è morto Carlo Alberto dalla Chiesa: condannato il boss Totò Riina

Questo ultimo tratto del nostro percorso ci porta a ripercorrere come è morto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Quelli erano critici per Palermo e l’Italia intera, con le stragi della mafia, dopo gli anni di terrorismo che seguirono il lungo periodo del Fascismo e della due guerre mondiali, ma Carlo Alberto dalla Chiesa accettò l’incarico, pur conscio di correre un immenso pericolo. L’idea era che il suo contributo nella lotta alle BR si sarebbe potuto applicare anche contro le cosche mafiose palermitane, ma ci fu un errore di calcolo perché – di fatto, come denunciò più volte lui stesso – Carlo Alberto dalla Chiesa non ottenne mai quei poteri speciali promessi e si trovò, disse, “in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”.

Furono 120 giorni non facili quelli che trascorse a Palermo, ma che permisero di scrivere i primi organigrammi sulle famiglie mafiose, tra vertici e sottoposti, e che ci portano direttamente alla serata del 3 settembre 1982: come è morto Carlo Alberto dalla Chiesa è facile presumerlo. Alle 21 l’auto su cui si trovava con la sua seconda moglie, Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, fu affiancata da una Bmw su via Carini a Palermo che esplose diverse raffiche di Ak-47 che non lasciarono scampo a nessuno dei tre. Per l’omicidio diversi anni dopo vennero condannati il già citato Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci in quanto mandanti; ma anche Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci in quanto esecutori materiali.