«Un massacro incomprensibile nei suoi scopi». Sono durissimi i toni usati da Carlo De Benedetti per attaccare John Elkann, accusato di essere «riuscito in quattro anni a distruggere» il gruppo editoriale creato in 15 anni dal prozio, il principe Carlo Caracciolo. «Ha venduto tutti i quotidiani locali, che andavano bene. Poi ha devastato pure Repubblica», spiega nell’intervista rilasciata al Foglio. L’imprenditore, che ha guidato il gruppo, parla di una situazione «straziante» e contesta anche il fatto che sia stato scelto come amministratore «uno che allo stesso tempo si occupava della Juventus». De Benedetti se la prende con tutto il gruppo dirigente, criticato anche per non aver investito in acquisizioni sul digitale e per aver «annientato la carta». Secondo De Benedetti, Elkann ha comprato il gruppo, che ora si chiama Gedi, «soltanto per coprire la fuga di Stellantis dall’Italia. Per coprire la deindustrializzazione e la smobilitazione degli impianti produttivi automobilistici di un gruppo che ormai è francese». Dunque, non gli interesserebbe nulla delle sorti dei giornali. In altre parole, l’ex amministratore delegato della Fiat ritiene che si sia voluto “comprare” la sinistra italiana. «Vogliamo contare il numero di interviste in cui Maurizio Landini, il segretario della Cgil, parla su Repubblica di Stellantis e della scomparsa della Fiat dal nostro paese?».



Lo impressiona anche il fatto che non si occupi neppure dei salari. Mentre in Francia e in Germania hanno ottenuto la rivalutazione dei salari, dopo il salario minimo, in Italia siamo ancora indietro. «Il sindacato italiano, la Cgil, invece dove era? Manifestava a favore della Palestina, ecco che faceva Landini, non arrivando neppure a capire la differenza tra Hamas e palestinesi». Nel frattempo, sta per essere venduta Radio Capital, ma per Carlo De Benedetti accadrà lo stesso con Repubblica e la Stampa. «So che ci sono contatti». Ma esclude che possano vendere alla famiglia Angelucci, che edita il Giornale, Libero e il Tempo. «Credo che Elkann stia pensando a un’espressione internazionale».



DE BENEDETTI E L’ULTIMA CHIAMATA DI BERLUSCONI

Tornando alla cessione del gruppo Espresso a Elkann, Carlo De Benedetti ci tiene a ribadire tramite i microfoni del Foglio che lui era contrario, l’operazione è stata portata a termine dai figli. «Dal loro punto di vista, Rodolfo e Marco, hanno fatto la cosa giusta liberandosi di un gruppo che li obbligava a schierarsi». Per l’imprenditore i suoi figli non hanno sbagliato, il fatto è che loro sono «refrattari alle passioni politiche», mentre lui è diverso. Ma ritiene che la cessione sia stata la scelta giusta anche dal punto di vista finanziario ed economico. Invece, i figli di Silvio Berlusconi non vendono. A tal proposito, De Benedetti sottolinea la «venerazione» di Marina Berlusconi per il padre.



Pur sapendo che «Mediaset è vecchia» e «non reggerà la concorrenza delle grandi piattaforme internazionali come Netflix», si tiene la creature del padre. D’altra parte, una cessione sarebbe pure complicata (ma è stata comunque già smentita). Comunque, per ora fa ancora utili, motivo per il quale la cessione non viene presa in considerazione. Nell’intervista precisa poi che Berlusconi non era suo nemico, ma avversario. «L’avevo sentito al telefono due giorni prima che morisse. Sapevo che stava male, e lui, pur affaticato, al telefono mi snocciolava una tiritera sul partito liberale di massa che aveva costruito». Carlo De Benedetti restava zitto ad ascoltarlo, pur non concordando. Non si sentivano quasi mai, quindi quella telefonata ha un significato particolare per lui: «L’ho vissuta quasi come un addio». Ma continua a pensare che abbia avuto un’influenza negativa sull’Italia e sulla politica.

“SCHLEIN? PENSAVO FOSSE IL CAMBIAMENTO”

Da Silvio Berlusconi alla destra, che non gli pare tanto normale. Carlo De Benedetti boccia anche la premier Giorgia Meloni, che però sceglierebbe se dovesse optare tra lei e Giuseppe Conte. Si aspettava di più da Elly Schlein, che ha appoggiato e «aiutato in qualche modo». Pensava che il Pd ne avesse bisogno, che potesse essere un cambiamento vero, d’altra parte non vuole dare addosso alla segretaria dem. «Il partito non c’è più da prima di Schlein, e io per la verità non so nemmeno che politica esprima ormai. Credo nessuna. Non sta nemmeno facendo un’opposizione comprensibile. E non voglio manco elencare le cose che stanno sbagliando, che sono tutte minuzie. Il Pd mi sembra un partito esangue, ecco. Mi ricorda la Dc alla fine della sua parabola, si aggrappa a tutto pur di restare al governo: il Pd si è aggrappato al movimento Cinque stelle e poi addirittura a Salvini. Loro hanno governato persino con Salvini». L’auspicio dell’imprenditore, visto che si parla già di un altro segretario, è che non sia Paolo Gentiloni. «Non è adatto, e credo lo sappia bene lui per primo: lui è uno straordinario uomo di governo. Ma non è cosa sua infilarsi in quel giro di schiaffi che è il Pd».

De Benedetti non vede energie nel Pd, «l’ultimo che aveva un grande talento (dissipato) è stato Matteo Renzi», mentre Enrico Letta è una «bravissima persona, che si è fatta macerare dal rancore». Tornando a Conte, lo definisce «un vero democristiano» che si è preso il Movimento 5 Stelle. «Ha fatto fuori tutti quelli che avevano contribuito al successo grillino in maniera sistematica». Peraltro, per De Benedetti ci è riuscito senza neppur prendere mai posizione su qualcosa. Un personaggio «strano» e «sottovalutato», anche da lui. Ma non può essere lui il federatore a sinistra: «Non è soltanto un uomo senza bandiere, è un uomo senza ideali. Senza princìpi. Si è rifugiato nel pacifismo, che politicamente equivale a zero», perché può praticarlo solo il Papa. Inoltre, lo ritiene inadatto perché «non sa cosa sono i lavoratori», ha un percorso senza prospettiva e lo «inquieta».

“MELONI SI RIMANGIA TUTTO, NETANYAHU UNA DISGRAZIA”

Carlo De Benedetti sceglierebbe Giorgia Meloni anche rispetto a Matteo Salvini, «perché assomiglia a Conte. Solo che è più fesso». Guai a pensare, però, che l’imprenditore sia meloniano. Infatti, al Foglio fa una battuta: «Il fatto che Meloni sia meglio degli altri le dà la misura di quanto mi dispiacciano gli altri. Io di Meloni penso malissimo, ripeto». De Benedetti non si fida della premier, anche se «ha capito che per governare devi essere atlantista, occidentalista ed europeista». Non dimentica, però, le posizioni passate. «Una che si rimangia tutto quello che diceva prima non potrebbe rimangiarsi tra un po’ tutto quello che ha detto dopo?». Inoltre, il noto editore ritiene che non abbia fatto nulla su temi importanti per il Paese, cioè sanità e scuola. A preoccuparlo anche il fatto che «domina tutto il sistema informativo», a partire dalla televisione. Inoltre, in Fratelli d’Italia vede «residui di destra fascista».

A tal proposito, De Benedetti ammette di avere forse «un pregiudizio psicologico, quasi prepolitico», ma non lo nasconde, anche perché non riesce a superare il ricordo della sua fuga in Svizzera durante la guerra e dopo le leggi razziali. «Non riesco a non pensare ai miei cugini massacrati a Mauthausen». Pur riconoscendo a Giorgia Meloni doti e capacità da leader e che si sia mossa bene all’estero, non riesce a rimuovere il suo pregiudizio. Riguardo la guerra in Medio Oriente, ricorda di essere «visceralmente filoisraeliano», mentre la sinistra è «storicamente filopalestinese», ma attacca il primo ministro Netanyahu, definendolo «una disgrazia». A proposito di Israele, infatti, teme che «si stia impantanando in un conflitto che non gli porterà nulla di buono, e si sta inimicando l’opinione pubblica internazionale. Il terrorismo si combatte con l’antiterrorismo, non con le bombe a tappeto».