All’età di 91 anni, è morto Carlo Gregoretti. Il giornalista fu uno dei fondatori del settimanale L’Espresso, diventando in seguito anche vicedirettore di Panorama e direttore di Epoca. L’uomo è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari a Roma, all’età di 91 anni. I funerali si terranno domani, sabato 7 maggio, alle ore 10 presso la Basilica di Santa Sabina a Roma. Nato proprio nella Capitale il 12 novembre 1930, Gregoretti cominciò la carriera da giornalista appena adolescente nel giornale “Cronache”.



Nel 1955, quando Arrigo Benedetti iniziò le pubblicazioni del settimanale “L’Espresso”, Gregoretti risultava essere il più piccolo del gruppo di giornalisti alle prese con il progetto. Come rivela l’Adnkronos, divenne particolarmente noto al pubblico per una serie di articoli il Sifar, il Servizio informazioni forze armate – sciolto nel 1966 – e alcune strane manovre al suo interno. Nel 1969 Gregoretti venne processato a Roma per diffamazione dopo aver pubblicato un articolo dal titolo “Il generale Gaspari accusa l’ex capo del Sifar. Perché De Lorenzo fa ancora paura”. Il pezzo era il commento ad una lettera inviata dal generale Paolo Gaspari al settimanale, nel quale tutelava la propria immagine e si esponeva contro il generale Giovanni De Lorenzo.



Carlo Gregoretti, una vita nel giornalismo

Dopo la sua esperienza a “L’Espresso”, Carlo Gregoretti negli anni Ottanta ha diretto il settimanale “Panorama”. Quando invece Mondatori entrò nel circuito televisivo, curò “Gli speciali di Retequattro”, ovvero un programma di approfondimento giornalistico in onda su Rete 4 dal 1982 al 1984. Negli anni successivi è stato direttore del settimanale “Epoca”. Nel 2015 ha ricevuto un premio dalla giuria del Premio Arrigo Benedetti: un riconoscimento per “l’esempio e la lezione di giornalismo” e quello che è stato il più giovane giornalista nella squadra de “L’Espresso”.



“Il Foglio” lo ricorda oggi in un emozionante spazio in versione digitale, nel quale ricorda l’uomo Carlo Gregoretti: “Carlo Gregoretti era anche un gran signore, un uomo di famiglia e di figli (anche altrui, era padre con naturalezza e slancio emotivo), uno sposo innamorato della sua Chicchi fino alla follia, un barcaiolo e pescatore, un amante della vita nei dettagli minuti, un eccellente cuoco che poteva filosofare con logica scolastica e fideismo occamista  sul passaggio rapido del pomodoro nella salsa impadellata, un amico di un’epoca in cui l’amicizia era ammirazione e stile, un re del Martini dry che shakerava allegramente con il quasi centenario Fabrizio Dentice, che lo ha preceduto di un paio d’anni nella morte, inneggiando all’eterna giovinezza del dandy”.