La questione per ora resta sottotraccia. Ma rischia di diventare un dossier caldo – l’ennesimo – sui tavoli di Bruxelles in tema alimentare. Parliamo della carne sintetica, un fenomeno che mostra di preoccupare, e non poco, gli allevatori italiani. Che infatti sono scesi in campo con dichiarazioni nette e precise.
“Da novembre – si legge in una nota rilasciata da Confeuro – Confederazione degli Agricoltori Europei e del Mondo – abbiamo appreso come negli Usa si sia sdoganata la produzione di carne di pollo prodotta in laboratorio. Negli ultimi mesi gli investimenti a livello mondiale per la produzione di carne sintetica sono aumentati fino a 1,3 miliardi di dollari. Questa tendenza in crescita ci preoccupa non poco e temiamo che anche l’Ue possa autorizzarne la commercializzazione in Europa, come già avvenuto per le farine d’insetti“.
Un’eventualità che deve essere scongiurata. “Siamo contrari – continua la nota di Confeuro – alla produzione e all’introduzione sui nostri mercati di un questo alimento sintetico. Riteniamo che la carne prodotta in vitro rappresenti una minaccia al nostro Paese, basato su un’agricoltura di qualità e su allevamenti tradizionali. Oltre all’aspetto economico e alla crisi che innescherebbe sul settore zootecnico, va poi ricordato che queste produzioni artificiali al momento non sono sostenibili a livello ambientale. Evidenze scientifiche mostrano che per la produzione di carne sintetica è necessario un intenso consumo di energia che nel lungo termine provocherebbe un maggiore riscaldamento globale. Inoltre, il consumo di acqua nei processi di produzione è superiore a quello di molti allevamenti tradizionali e per la produzione i laboratori rilascerebbero residui di molecole chimiche e organiche, altamente inquinanti per le risorse idriche”. Ma non solo. “Non troviamo una giustificazione a questa produzione – osserva Confeuro – nemmeno sul piano nutrizionale e del gusto. Questa carne nasce insipida e ha bisogno di numerosi additivi per somigliare a quella vera. Contiene un contenuto di grassi superiore alla carne animale ed è potenzialmente dannosa per chi ha patologie cardio-vascolari. Per questi motivi chiediamo all’Ue di fare molta attenzione e di valutare il divieto all’introduzione sui nostri mercati”.
E sulla stessa linea si pone anche la posizione adottata da Anabic (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani Carne), secondo la quale “la disinformazione di una fetta di consumatori alimenta convinzioni errate e prive di fondamento che si possono smontare con dati certi e incontrovertibili quali quelli riportati dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che in uno studio quantifica nel 3% il valore delle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti bovini”. Il che sconfessa uno dei punti su cui maggiormente si concentrano i fautori della alternativa sintetica. “È indubbio che gli animali, e i bovini in particolare, producono emissioni – sottolinea Stefano Pignani, direttore di Anabic – e soprattutto metano. Ma bisognerebbe anche specificare che, a differenza della CO2, il loro ciclo di vita in atmosfera non supera i vent’anni arrivando ad azzerarsi, mentre l’anidride carbonica prodotta soprattutto dai trasporti, dall’industria e in minima parte dagli animali, si consuma addirittura in un migliaio d’anni determinando un accumulo pressoché continuo. Queste sono le informazioni scientifiche che purtroppo spesso vengono omesse, preferendo demonizzare gli allevamenti come causa di tutti i mali del mondo. Non dimentichiamo poi che la cosiddetta carne sintetica è coperta da brevetto, è prodotta a livello industriale e questo non può che favorire una maggiore produzione di CO2. Non è quindi corretto presentare il problema in modo artificioso senza obiettività e dimenticando, spesso strumentalmente, i grandi benefici che invece gli allevamenti come quelli dei nostri associati garantiscono all’ambiente”.
Benefici concreti, che riguardano l’intera collettività: “Le razze che rappresentiamo – evidenzia Luca Panichi, presidente di Anabic – vivono in dimensioni di totale naturalità, costituiscono un valore sociale che affonda le sue radici in tempi molto lontani e assicurano al territorio quel ruolo di presidio e tutela che in tempi di grandi cambiamenti climatici ne può contrastare gli effetti: basti pensare alle conseguenze che avrebbe la siccità se le zone in cui insistono le stalle fossero totalmente abbandonate. Dimenticare questi aspetti è molto facile, soprattutto perché si tratta di benefici di cui tutti godiamo, che in qualche modo suonano scontati. E anche per questo non se ne percepisce troppo spesso l’importanza”.
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