Il “caro affitti” è il tema del giorno e come per molti altri fenomeni economici apparsi negli ultimi mesi la sua origine appare un mistero inspiegabile. Si sommano sul mercato immobiliare una pluralità di fattori ed è facile dimenticare che le dinamiche sono super locali. Partiamo da due evidenze: la prima, strombazzata, è il rincaro pauroso dei prezzi degli immobili, e quindi degli affitti, in alcune località italiane e in particolare, sopra qualsiasi altra città, a Milano; la seconda, altrettanto importante, è che, rimanendo in Lombardia, il mercato nelle principali città secondarie, anche ricche o molto ricche, rimane sostanzialmente nella norma e, anzi, al cospetto del capoluogo appare persino asfittico.



Per anni, dopo il 2008, il mercato immobiliare è stato in crisi; in termini di numeri di transazioni il mercato immobiliare italiano è sceso alla grande per 7 anni di fila dal 2006 al 2013 e la ripresa negli anni successivi è stata lentissima. L’offerta di nuove case è stata bassa rispetto al ciclo chiuso nel 2006/2007 per più di un decennio. Nel 2020/2021 si sono avuti tassi di interesse ridicoli e un eccesso di risparmio dopo i mesi di lockdown e il diluvio di bonus. Il risultato è quello che abbiamo visto a partire dall’autunno 2020/primavera 2021. Sul mercato sono arrivati in massa sia chi comprava la prima casa, sia chi cercava un ritorno sull’investimento e naturalmente si indirizzava verso i mercati più liquidi e pregiati. I prezzi del nuovo a Milano in due anni sono saliti di almeno il 30%.



Sta succedendo quello che è già successo in altre metropoli europee: la casa di proprietà è un lusso riservato a pochi, per tutti gli altri c’è l’affitto. In zone semicentrali, se non contigue alla periferia, i prezzi del nuovo a Milano sorpassano i 6.000 euro al metro quadro. 600 mila euro per un trilocale senza box e prima di aver appeso anche solo una mensola. Evidentemente l’ideale per una giovane famiglia con figli. Questo si porta dietro tutto, incluso gli affitti. Il vecchio è una funzione del nuovo e gli affitti, a loro volta, sono una funzione di quello che, in alternativa, si potrebbe incassare vendendo al posto che affittando.



L’eccesso di risparmi per ora continua, gli incentivi a proteggere il capitale in qualsiasi modo, in un contesto inflattivo con tassi al di sotto della crescita dei prezzi anche, la scommessa sulle politiche delle banche centrali in caso di crisi non sembra venuta meno. Quello a cui stiamo assistendo potrebbe non essere un frangente ma un nuovo paradigma. La grande città rimane appetibile per tante ragioni e in particolare per una ovvia: potendo, molti preferiscono essere vicini all’ufficio e ai servizi.

Per rompere il ciclo bisognerebbe agire sull’offerta aumentando la disponibilità di case mettendo sabbia in un ingranaggio, quello della finanza e delle dinamiche passate, che altrimenti rischia di essere inarrestabile. Aumentare l’indice di edificabilità sarebbe il più ovvio, ma non sembra esattamente quanto successo negli ultimi anni nel capoluogo lombardo.

Il secondo sarebbe rimettere in competizione il vecchio, ma, come noto, le recenti norme europee sui consumi delle case, incluse quelle vuote, hanno la controindicazione di restringere l’offerta; su un’intera fascia di mercato è sospesa la spada di Damocle dell’invendibilità o inaffittabilità a meno di investire somme considerevoli per la ristrutturazione. Chi si sobbarca questo onere, una frazione del totale, giustamente poi chiede prezzi più alti e affitti più alti. Chi non lo fa non ha alcun incentivo a svendere; chi compra case in classe energetica bassa poi deve aggiungere i soldi della ristrutturazione per avere la piena disponibilità del bene e a quel punto, in un mercato in cui costi rischiano di impazzire, si ritorna alla casella di partenza del nuovo.

Il terzo sarebbe quello di aumentare l’offerta facendo entrare, dalla finestra, nel mercato cittadino l’hinterland che oggi, sul nuovo, costa la metà e sul vecchio anche meno. È inutile sottolineare che le aree “C”, quelle “B”, i vincoli “green” alle auto ammesse in città, anche quelle che fanno 100 chilometri al mese, i parcheggi a pagamento, le zone a 30 all’ora, l’ideologica opposizione a nuove strade, su cui viaggia la stragrande maggioranza della gente, sono un enorme disincentivo alla mobilità pendolare e quindi peggiorano l’appetibilità delle case extracittadine. Anche in questo caso si comprime l’offerta di case “appetibili”.

L’orizzonte quindi è quello di altre città europee: la proprietà della casa è un sogno irrealizzabile per i più, gli affitti esplodono, chi può vorrebbe scappare ma glielo si impedisce fisicamente imponendo nuovi oneri, per esempio la macchina nuova, e viaggi impossibili. Ma in nome dell’ambiente e della scienza, quella secondo cui le case consumano a prescindere da quanto si accenda il riscaldamento, accetteremo volentieri anche questo. Oppure no.

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