Oggi il prezzo dell’elettricità in Italia sarà quasi il 40% più alto di quello di dodici mesi fa e il doppio rispetto agli stessi giorni del 2019, l’ultimo anno “normale” prima del Covid e della guerra in Ucraina. A preoccuparsi per i rincari della “bolletta” non ci sono solo le famiglie, ma tutto il settore industriale giustamente preoccupato per la competitività delle sue imprese. In questi stessi giorni si scopre che la produzione di auto in Italia è scesa fino ai livelli del 1956 quando il possesso di un’autovettura era ancora un lusso per pochi.
Il problema dei costi energetici è emerso alla fine del secondo trimestre 2021 quando gli investitori si sono accorti che le tensioni al confine dell’Ucraina crescevano; la crisi è esplosa alla fine del 2021 e non si è mai risolta. Il peggio della crisi, estate 2022, è finito anche grazie a due inverni di fila eccezionalmente miti e al crollo dei consumi industriali che in questi giorni vengono quasi fatti passare per “risparmio energetico”. Intanto tra qualche mese la crisi energetica italiana compirà quattro anni.
Diciamo crisi energetica italiana non per sciatteria. Nelle tante analisi che si sono lette in questi giorni non è raro che il dito venga puntato contro gli “speculatori internazionali” che metterebbero il turbo ai prezzi del gas, contro l’inazione dell’Europa che non valuta tetti al prezzo del gas o, infine, contro qualche mancata riforma dei mercati elettrici. Eppure, nel resto d’Europa le cose non vanno così male come in Italia. Francia e Spagna, per esempio, hanno prezzi dell’elettricità molto più bassi di quelli italiani. La Spagna per tutta la primavera del 2024 ha avuto prezzi dell’elettricità inferiori a quelli del 2019; è un miracolo reso possibile dal nucleare e da un clima e un territorio particolarmente favorevoli al solare. Gli Stati Uniti non hanno la “crisi energetica”. Non c’è un problema globale di speculazione sul gas che riguarda tutti e non c’è un problema europeo, c’è un problema dell’Italia che si ripete da quattro anni nonostante l’incremento della capacità solare.
Il prezzo dell’elettricità in Italia per il prossimo decennio sarà ancora determinato dal prezzo del gas a prescindere da qualsiasi cosa si pensi sulla sostenibilità economica delle “nuove” tecnologie green. Il nucleare non arriverà prima dei prossimi dieci anni e le tecnologie che consentono di immagazzinare l’elettricità in eccesso, o con batterie o sotto forma di idrogeno, non sono abbastanza mature per essere economicamente competitive. Dieci anni di prezzi dell’elettricità molto più alti del resto d’Europa e del mondo non sono compatibili con la sopravvivenza del sistema industriale e nemmeno si può pensare che il costo di eventuali sostegni all’industria ricada sul bilancio pubblico in una fase di tassi di interesse più alti e di tagli di spesa.
Ci sono alcune azioni che si possono mettere in campo per recuperare nel breve termine. Lo sviluppo del solare, soprattutto nelle regioni con più sole e meno densità abitativa, può garantire alcune settimane di respiro nei mesi con il maggiore numero di ore di luce e senza la domanda dei condizionatori. Si può lavorare sui bacini idrici e sui pompaggi con benefici nel medio termine. La soluzione al problema, però, non può prescindere da forniture di gas a prezzi contenuti e prevedibili e questo implica l’aumento dell’attività estrattiva in Italia e il presidio “geopolitico” delle forniture anche con contratti a lungo termine.
L’attesa del nucleare e della competitività economica delle tecnologie “green” ha già causato quattro anni di prezzi ai massimi in Europa; lo stress inflitto al sistema industriale è visibile e altri quattro o dieci anni in queste condizioni rischiano di essere troppi per la sopravvivenza dell’industria italiana. Non è l’Europa che ci salverà perché non c’è un problema europeo e non si può nemmeno mettere fine alla speculazione finanziaria, sempre ammesso che ci sia, perché un buon numero di Paesi ne è immune o si è messa al riparo. C’è un problema italiano con una soluzione italiana purché lo si voglia.
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