Per mitigare il caro bollette, il consiglio dei ministri continua, anche nell’ultimo decreto legge del 22 giugno, con il taglio degli oneri di sistema, trasferendo il relativo importo sulla finanza pubblica (3 mld) e con misure di incentivazione allo stoccaggio (4 mld) sostenute dal Gse cioè dal Gestore del mercato elettrico, una società in mano pubblica meno restia, con l’apporto finanziario dello Stato, ad acquisti di materia prima con contratti non spot ritenuti, probabilmente, immobilizzi di liquidità poco remunerativi dagli operatori privati.
Si cerca intanto di porre il problema a livello comunitario, essendo peraltro caduta in disuso la previsione degli stoccaggi obbligatori prevista nei piani energetici nazionali. Il Governo – va dato atto – è intervenuto con un prelievo fiscale nella misura del 25% sugli utili calcolati sulla differenza tra il costo della materia prima ed il prezzo di vendita ai consumatori, il che mitiga sul lato delle entrate fiscali la maggiore spesa per i tagli e le riduzioni della tariffa per le fasce sociali economicamente più fragili. Il minor costo degli aumenti a bolletta per i consumatori si scarica sui contribuenti o su un incremento del debito pubblico, stante che gli oneri per il funzionamento del sistema dovranno comunque essere coperti a carico della finanza pubblica. Latitano ancora invece i provvedimenti strutturali di ampio respiro promessi. A fronte dell’abbattimento degli oneri di sistema rimane infatti inalterato in bolletta il meccanismo di formazione del “prezzo della materia prima”. Se ancora nel 2021 le due voci all’incirca si equivalevano, ora il costo della bolletta è imputabile per circa i 4/5 alla voce approvvigionamento della materia prima.
Un prezzo la cui formazione e ricaduta all’interno del sistema energetico nazionale – è il caso di dirlo – continua ad essere un mistero avvolto da un enigma. Il mercato di riferimento per la formazione del prezzo del gas è quello virtuale speculativo dei Ttf (Title Transfer Facility) di Amsterdam cui è legato l’andamento dei prezzi del gas metano in Italia. Un prezzo che risente delle oscillazioni dovute alle aspettative – futures – e che anticipa con rincari immediati eventuali previsioni negative, a prescindere dal costo effettivo della sottostante fornitura di gas, generando in questo modo ed in ogni modo anche in caso di previsioni al ribasso – come documentato dal direttore delle dogane Marcello Minenna – maxiprofitti per gli operatori stessi nel mercato dei futures.
Il Governo – va dato atto – è intervenuto con un prelievo fiscale nella misura del 25% sugli utili calcolati sulla differenza tra il costo della materia prima ed il prezzo di vendita ai consumatori, il che mitiga sul lato delle entrate fiscali la maggiore spesa per i tagli. Ma la conoscenza di questi dati consentirebbe anche un intervento più incisivo per riallineare il prezzo di mercato al costo reale dell’energia sganciandolo da quello dei futures quotati ad Amsterdam o altrove nel “metamercato finanziario” . Non bisogna accettare come un destino cinico e baro il fatto che il prezzo della rivendita della materia prima ai consumatori sia determinato in un mercato virtuale – dove non vengono cioè scambiate merci – per effetto di previsioni algoritmiche – manipolabili – del rischio – macro e micro – che per effetto della loro stessa esistenza lo incrementano.
In realtà, la differenza tra il prezzo di acquisto della materia prima e quello di vendita ai consumatori può essere facilmente ricavato da Arera, magari con l’ausilio della Guardia di finanza, anche dai contratti cosiddetti passanti il cui prezzo non viene reso noto al mercato ufficiale e dagli stessi bilanci delle società interessate. Un intervento tecnicamente esperibile di riallineamento dei prezzi ai costi effettivi. Questa opzione non sembra per il momento sul tavolo. Si invoca piuttosto il calmieramento del prezzo con un tetto massimo – il cosiddetto price cap – a livello comunitario. Ma in sede Ue per il momento non si è andati oltre una generica “esplorazione” della possibilità di una eventuale sua emergenziale applicazione. Tutto in forse. Chissà come e quando?
Le ultime vicende sanzionatorie alla Russia si stanno pesantemente ripercuotendo sull’andamento delle forniture del gas. Si prefigura un sistema in fieri di contrattazione fluttuante organizzato, come in un’asta permanente e reiterata, sulla base delle quotazioni virtuali delle commodity nel “metamercato finanziario”. Con le navi di rigassificazione in attesa di quelle metaniere indecise su dove dirigersi per incontrare la migliore offerta spot. Se a questi rincari della materia prima sommiamo il sovraprezzo speculativo accettando supinamente la quotazione del mercato dei derivati siamo veramente messi molto male. Dobbiamo trovare una soluzione entro l’estate.
Se si cerca allora di capire quale sia il fondamento giuridico nei Trattati Ue e nelle direttive comunitarie in materia di energia della fissazione dei prezzi del gas con riferimento al mercato virtuale finanziario non risulta facile rinvenirlo. È un enigma. Per quale motivo il prezzo virtuale del gas emergente nel mercato dei derivati di Amsterdam dovrebbe trovare applicazione nei singoli Stati? Non c’è una spiegazione giuridica chiara. Sembrerebbe che sia l’esistenza dell’interconnessione fisica delle reti di trasporto ad alta tensione nel mercato elettrico euro unitario a far scattare il riferimento. Lo si deduce anche dal fatto che Portogallo e Spagna, poco interconnessi – beati loro verrebbe da dire! – se ne sono tirati fuori e possono tariffare diversamente e ovviamente al ribasso. Non è da credere peraltro che in tutti i paesi membri dell’Ue il costo dell’energia sia sempre lo stesso. II rincaro uniforme e generalizzato nel mercato interno non è perciò mal comune mezzo gaudio.
Dubito che il costo dell’energia elettrica, ad esempio, all’interno del porto di Rotterdam sia lo stesso che nel porto di Genova. Presumo, salvo smentite, che sia piuttosto attivo in loco un “sistema di distribuzione chiuso” espressamente previsto dalla normativa comunitaria, che consente di costituire un sito di produttori – utilizzatori industriali, commerciali, associazioni di consumatori e di servizi –, geograficamente delimitato, magari integrato da un sistema di autoproduzione di fonti rinnovabili per cui in definitiva i partecipanti al consorzio pagano l’energia al costo di produzione e distribuzione, senza curarsi del prezzo dei futures quotati ad Amsterdam.
Rimane ad ogni modo avvolto dal mistero il fondamento normativo del potere della Commissione di indicare come riferimento il prezzo trattato sul mercato Ttf di Amsterdam come valido per l’intero mercato dell’energia, per effetto del mero presupposto dell’esistenza della rete “fisica” interconnessa. Per quanto riguarda il mercato elettrico l’aggancio normativo – ma è una supposizione – potrebbe essere il regolamento Ue 2016/1719 “Orientamenti in materia di allocazione delle capacità a termine” e nelle cui premesse la Commissione afferma essere “opportuno elaborare la possibilità di coperture efficienti per consentire a generatori, consumatori e rivenditori di attenuare il rischio dei prezzi futuri nel settore in cui operano, compresa l’armonizzazione delle attuali norme che disciplinano le aste per l’allocazione”.
Insomma, l’aggancio dovrebbe supportare una normativa tecnica sugli strumenti di copertura del rischio di volatilità del corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto che fa riferimento ai Ttf. La ricerca del fondamento normativo non è una questione bizantina, perché rinvenirlo con esattezza ci consente di valutarne la valenza giuridica nei confronti del diritto degli Stati membri e di verificare nello specifico l’eventuale primato di tali norme sulla legislazione nazionale e la loro immediata applicabilità nell’ordinamento interno. Nel nostro ordinamento giuridico – è il caso nuovamente di ricordare – è vigente tuttora l’art. 43 della Costituzione che consente invece allo Stato e al Parlamento misure nel settore delle fonti di energia riduttive del diritto d’impresa privata per contrastare monopoli e abusi di mercato.
È anche il caso di ricordare, per quanto riguarda l’ auspicato price cap, in sospeso ed in fase di “esplorazione” a livello comunitario, che tale norma è già in vigore da noi nella legge 481 del 1995 – istitutiva dell’Autorità di regolazione, oggi, Arera – il cui art. 18 fa esplicito riferimento al price cap come metodo per la fissazione della tariffa. È possibile farne applicazione ora e subito anche senza attendere l’esito delle esplorazioni in sede comunitaria, visto che la disposizione è tuttora vigente? Risolvere il mistero e sciogliere l’enigma giuridico è dunque essenziale per liberare l’economia reale in Italia dal giogo dei prezzi finanziari formatosi del mercato privato dei derivati di Amsterdam al fine di abbattere conseguentemente l’inflazione con tutto ciò che di positivo per il nostro Paese ne conseguirebbe.
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