Il Governo inglese ha deciso di alzare la tassa sugli extra profitti delle società energetiche dal 25% al 35%. Si intravede una china molto pericolosa non per i profitti societari ma per le tasche dei contribuenti in uno scenario in cui la ricchezza delle famiglie viene trasferita e poi redistribuita dai Governi in una proporzione che non ha precedenti in Europa dalla fine del socialismo. La narrazione confonde piani e attori e lascia più o meno tutti in balia di una rappresentazione teatrale in cui da una parte ci sono le avide società energetiche e dall’altra i poveri cittadini.



La prima questione è cosa impedisca ai Governi, in un prossimo futuro, di alzare l’aliquota dal 35% al 45% e poi al 55% e così via in un tripudio di applausi. I privati preferirebbero vendere energia a prezzi più bassi con margini di profitto più contenuti piuttosto che avere a che fare con una controparte pubblica che decide di prendersi una quota imprevedibile dei profitti. È uno scenario in cui il privato non può programmare e quindi non può investire. Tralasciamo questo “dettaglio” e accantoniamolo in nome di un una situazione emergenziale in cui non possiamo soffermarci su queste obiezioni.



La questione è questa: i soldi delle bollette finiscono alle società energetiche che poi finiscono alla Stato. Quindi i rincari delle bollette finiscono allo Stato e le società energetiche agiscono solo da esattori e in più si prendono la colpa. Più l’aliquota fiscale sale, più questa equazione si avvera. I profitti delle società energetiche, ciò che rimane, è il motore che paga i dividendi, gli investimenti e oneri sul debito crescenti. Chi fa solo rinnovabili e chi estrae petrolio e gas preferirebbe di gran lunga altri quadri normativi.

Il prezzo dell’elettricità di mercato deve essere abbastanza alto per remunerare tutta la produzione, anche quella più costosa. Se il sistema chiede, supponiamo, 100 giga per far funzionare fabbriche e lavatrici, il prezzo deve essere abbastanza alto da rendere conveniente la produzione di tutti i 100 giga, anche di quelli che costano di più. All’interno di questo insieme ci sono però produzioni di elettricità che costano molto di meno del prezzo finale. In questa grande parte dell’insieme si generano gli extraprofitti tassati dal Governo.



Nell’attuale sistema dove il prezzo del mega più costoso fissa la remunerazione per tutti gli altri i costi dell’elettricità esplodono si creano gli extra profitti e il Governo si ritrova con un’ampissima platea di risorse da redistribuire. Il conflitto di interesse è evidente: al Governo conviene cambiare sistema e abbassare i prezzi o mantenerlo e trovarsi con risorse insperate da usare per gli scopi più disparati tra gli applausi del pubblico che inveisce contro le società energetiche? Sarebbe infinitamente meglio se il Governo sussidiasse in modo diretto o indiretto le produzioni dai costi impazziti e lasciasse prezzi più bassi per tutti.

È una chimera? È quello che hanno fatto Spagna e Portogallo con il permesso dell’Unione europea. I due Paesi possono pagare direttamente i produttori di elettricità per la parte generata con il gas. Il contributo è pari alla differenza tra il prezzo di mercato e un prezzo fissato a priori (sotto 50 euro a MWh). Certo la dipendenza dei due Paesi dal gas è minore di quella italiana, ma la soluzione evita che si generi il corto circuito inglese o italiano: altissimi prezzi dell’elettricità, altissimi extraprofitti e altissime risorse pubbliche via tassazione delle società energetiche. Questo è uno schema da esproprio proletario in cui i cittadini gabbati neanche si rendono conto di chi è il colpevole. Più in generale è un’autostrada verso un sistema economico semi-socialista perché alle due estremità della catena ci sono uno Stato prenditore e una famiglia pagatrice della bolletta. In che misura? Più è alto il prezzo dell’elettricità, più lo Stato incassa e redistribuisce.

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