Il caro bollette mette “a serio repentaglio il patrimonio industriale del Paese” con un forte impatto sulla filiera produttiva. Ad affermarlo è stato Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energia, intervenendo a un evento online con l’Enea. Un allarme confermato in pieno anche da Fabio Zanardi, presidente di Assofond, l’associazione delle fonderie italiane, che raccoglie un migliaio di imprese, con 29mila addetti per un fatturato di 6,5 miliardi. Sono proprio le fonderie, grazie alla loro produzione di materiali ferrosi (ghisa e acciaio) e non ferrosi (alluminio, zinco e leghe di rame), che danno componenti, cioè linfa vitale, all’attività di molti altri settori, visto che “al 95% – spiega Zanardi – operiamo all’interno di catene in sub-fornitura”. E aggiunge: “Non ci resta che guardare se conviene ancora produrre”, perché una nuova fiammata del prezzo del gas “potrebbe portare il sistema al collasso: le fonderie chiuderebbero e si fermerebbe tutto”. Per questo, “come Assofond e assieme ad altri settori energivori ci siamo fatti sentire presso le sedi opportune e confidiamo che entro gennaio qualcosa venga messo in campo, soprattutto sul fronte gas, che incide anche sul costo dell’energia elettrica”.
A quanto ammonta oggi il costo dell’energia?
Le faccio solo un esempio, tarato su un’azienda come la mia che fattura intorno ai 40 milioni: in tempi normali la bolletta di energia elettrica e gas ci costa 3-4 milioni. Se dovessero mantenersi gli attuali livelli di costo, nel 2022 arriveremmo a spendere tra i 10 e i 12 milioni. Tre volte tanto.
Che impatto hanno avuto gli aumenti del prezzo del gas sulla vostra attività? E come avete risposto a questi aumenti?
L’unica arma che abbiamo a disposizione è trasferire o tentare di trasferire questi aumenti a valle. Quando ballano una decina di milioni di extra-costi su 40 di fatturato, è evidente come ci sia un tema di sostenibilità molto forte. Questo ribaltamento con alcuni clienti e mercati è andato a buon fine, in altri casi, penso per esempio al settore automotive, è un’operazione più difficile, anche per una questione di diverso potere contrattuale fra le parti.
In questi casi?
Non resta che guardare se conviene ancora produrre oppure, se il costo dell’energia è troppo alto, evitare di produrre in perdita, rinunciando magari a qualche ordine, anche se oggi gli ordini sono a un livello più che buono. Tenga però presente che le fonderie al 95% operano all’interno di catene in sub-fornitura.
Quindi?
Il problema non è solo rinunciare a produrre, ma andare incontro alla possibilità di interruzione di contratti, creando ulteriori danni a valle, perché si interrompe l’attività anche di altre imprese che hanno bisogno dei nostri componenti per andare avanti.
Oggi a che ritmo lavorano le fonderie italiane?
Il nostro polso della situazione ci dice che l’attività dopo la pausa natalizia è ripresa, ma ci sono molte fonderie che stanno cambiando, in fretta e furia, gli orari di lavoro per cercare di utilizzare meno energia possibile nelle ore di picco.
Una necessità penalizzante?
Certo. Oltre a dover negoziare con le parti sociali le compensazioni relative al costo del personale, questa scelta crea delle inefficienze, perché sono riorganizzazioni, fatte all’ultimo momento rincorrendo un’emergenza, che comportano pochi benefici e scarsi effetti positivi rispetto ai rincari che subiamo.
Siete in grado di assorbire un’ulteriore impennata dei prezzi energetici?
No, credo proprio di no. Abbiamo visto una fiammata molto forte a dicembre, per contrastare la quale abbiamo dovuto riposizionare i nostri prezzi, cercando una sorta di equilibrio. Se dovesse riproporsi questa impennata, non avremmo più la forza di trasferire questi aumenti sui nostri prezzi. Già oggi siamo fuori mercato rispetto ai nostri competitor tedeschi, spagnoli e francesi. E questo è il vero dramma. Sarebbe difficilmente sopportabile e potrebbe portare il sistema al collasso: le fonderie chiuderebbero e si fermerebbe tutto.
Oggi siamo ancora ai livelli di dicembre?
Adesso siamo tornati grosso modo ai livelli di ottobre-novembre.
Che cosa vi aspettate in questo 2022?
Non facciamo previsioni né stime, viaggiamo alla giornata, navighiamo a vista aggiornando ogni giorno i listini con l’obiettivo di salvare i conti dell’oggi. Ci aspettiamo un intervento da parte del governo e delle istituzioni per riuscire a calmierare questi costi per le aziende energivore come stanno facendo negli altri paesi europei, rendendo meno esposte le imprese a questi venti di tempesta incontrollati.
Un’ulteriore mazzata è arrivata dal capacity market. Perché?
Se ne parla da due anni, nel tentativo di distribuire le risorse e di migliorare i dispacciamenti. In pratica, si definiscono 500 ore all’anno di picco che vengono penalizzate con 40 euro in più al megawattora per chi consuma, così da assicurare che in quelle 500 ore siano scongiurati i blackout e sia stabilizzato il dispacciamento elettrico.
Obiettivo condivisibile, non crede?
Come concetto ci sta. Il problema è che solo il 20 dicembre abbiamo scoperto quali erano queste 500 ore, in gran parte concentrate nelle ore diurne dei mesi di gennaio e febbraio, cioè in un momento di emergenza totale e senza darci il tempo necessario per organizzarci in modo adeguato. Conosco colleghi che sono ancora lì a fare i calcoli per capire se conviene lavorare il sabato e la domenica piuttosto che il mercoledì e il giovedì. Intanto i giorni passano e continuiamo a pagare questi 40 euro in più di capacity market.
Una possibile soluzione?
Altre ore di capacity market sono previste a luglio. Non sarebbe meglio concentrarle anche lì, quando le imprese hanno la possibilità di fermare gli impianti, magari anticipando le ferie, favorendo così il dispacciamento e accontentando il sistema?
Per combattere il caro bollette nel breve periodo, il governo starebbe pensando ad alcune misure: utilizzare i proventi delle aste Ets, tassare gli extra-profitti delle società energetiche, sfruttare l’extra-gettito delle accise e accantonare scorte strategiche di gas per le imprese. Che ne pensa?
Sono tutte misure che vanno nella giusta direzione per spegnere questo incendio. Bisogna agire su quello che si può fare subito, pur di abbassare questi importi.
Come aziende energivore, proponete altre misure strutturali per uscire da questa situazione?
Quando la casa va a fuoco non posso pensare di costruire l’impianto anti-incendio. Quindi, a livello più strutturale, per il mercato elettrico sarebbe il caso di cambiare il metodo con cui si determina il prezzo unico dell’energia, rendendolo più aderente al paniere di fonti utilizzate per la produzione. Bisogna ragionarci in termini di equilibrio e di pesi. Però facciamo tesoro di questa emergenza per far sì che, qualora dovesse toccarci ancora qualcosa del genere, non ci si ritrovi in balìa di queste situazioni.
(Marco Biscella)
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