I continui rincari dei costi delle bollette energetiche per le famiglie e le imprese rischiano di compromettere, o quanto meno di contenere, il rimbalzo positivo in corso dell’economia europea e in particolare di quella italiana.
A gennaio i prezzi alla produzione dell’industria sono aumentati del 9,7% su base mensile e del 32,9% su base annua. Gli aumenti sono trasversali a tutti i settori, da quelli particolarmente energivori (acciaierie, aziende ceramiche, ecc.) a quelli dell’agricoltura e del terziario. Il peso dei costi dell’energia va a toccare anche il trasporto dei beni materiali, che avevano già subìto un forte condizionamento nel periodo della pandemia. Il riflesso di questi aumenti va poi a incidere sulla crescita dell’inflazione, che a febbraio ha raggiunto il +5,7% su base annua, quando ancora non erano pienamente visibili gli effetti della guerra in Ucraina.
Il nostro Paese rischia quindi di pagare un prezzo enorme per le scelte contraddittorie sul gas naturale dei Governi del recente passato; il gas naturale è considerato anche dall’Ue il vettore energetico della transizione, perché, pur essendo un fossile, produce emissioni di CO2 molto inferiori rispetto a carbone e petrolio.
Le contraddizioni sono emerse palesemente: il Governo Conte 1 non ha potuto fermare l’arrivo del gasdotto Tap dall’Azerbaijan, ma ricordiamo bene le prese di posizione pesantemente contrarie del M5S e della stessa compagine governativa sul tema, che hanno poi condizionato anche ulteriori sviluppi dell’utilizzo del gas naturale. Progressiva riduzione della produzione di gas naturale, blocco della ricerca e delle estrazioni già programmate; una serie di provvedimenti sbagliati che stiamo pagando pesantemente proprio in questa fase delicata della storia. La Cisl ha sempre preso una posizione netta a favore delle infrastrutture per lo sviluppo del gas naturale. Nel confronto con i Governi Renzi e Gentiloni riuscimmo a far progredire alcuni programmi, che successivamente hanno subìto delle eccessive penalizzazioni, come ad esempio la mancata metanizzazione della Sardegna.
In occasione del referendum del 2016 promosso per il blocco delle esplorazioni o successivamente alle polemiche derivanti dall’inchiesta della Procura di Potenza che portò al fermo delle attività del Centro Oli della Val d’Agri sostenemmo la continuità delle produzioni esprimendoci negativamente sul quesito referendario e sulla criminalizzazione degli impianti petroliferi in Basilicata. Anche nell’accordo per il riassetto del polo energetico di Gela presso il ministero dello Sviluppo economico condividemmo la valorizzazione dei giacimenti nell’area gelese e del Canale di Sicilia, ancora oggi incomprensibilmente fermi per eccessi burocratici.
Nel frattempo il livello di dipendenza dalle importazioni di gas russo si è consolidato al 40% del fabbisogno nazionale; nel 2000 l’Italia produceva 20 miliardi di metri cubi di gas naturale, oggi non arriviamo a 4 miliardi. Dispiace che per vedere rivalutate le nostre posizioni ci sia stato bisogno dello scoppio di una guerra. Confidiamo che la recente approvazione del PITESAI, il piano di sviluppo delle aree idonee all’esplorazione e produzione nazionale possa garantire una maggiore attenzione al problema, soprattutto in funzione del raddoppio della produzione italiana come dichiarato dal Ministro Cingolani.
Negli ultimi giorni il Governo Draghi ha preso delle decisioni importanti sul caro energia, ma sono misure ancora parziali; ci sarà bisogno di interventi radicali, la componente speculativa è ancora molto forte, il carico fiscale e gli oneri di sistema hanno assunto carichi eccessivi; bisognerà rivedere l’intera catena di distribuzione e commercializzazione dei prodotti energetici per evitare qualche passaggio intermedio che non fa che lievitare i costi. Inoltre, sarà necessaria un’azione unica dell’Unione europea sul mercato del gas naturale per rafforzare il potere contrattuale e ottenere un calmieramento dei prezzi sui mercati spot o all’ingrosso.
Il grande incremento dei costi avuto per il gas e l’energia elettrica in questi mesi sarà un fattore di aggravamento della povertà energetica, che probabilmente colpirà anche altre fasce della popolazione che finora erano riuscite a evitarla. Il Governo ha messo in atto misure che favoriscono la rateizzazione dei pagamenti, la riduzione di parte delle tasse e/o dell’Iva, ma sono evidentemente misure tampone, come lo è il prelievo sugli extra-profitti, a oggi limitato solo a 4,5 miliardi su 44 miliardi dei soli ultimi sei mesi. Il successivo prelievo andrebbe almeno aumentato in misura adeguata.
Anche il tema dell’energia nucleare non deve restare un tabù, soprattutto quella di nuova generazione. Su questo ci sarà bisogno di maggiori certezze da parte della scienza. Noi comunque abbiamo avuto due referendum contro il nucleare che hanno condizionato e indirizzato le scelte della politica e che dobbiamo rispettare. Però il Governo dovrebbe investire subito sul nucleare per fusione perché serviranno più di 15 anni prima di avere una risposta positiva da questa tecnologia a emissioni vicine allo zero.
Abbiamo chiaro l’obiettivo che la lotta al cambiamento e alle crisi climatiche non potrà non passare per una progressiva decarbonizzazione delle realtà produttive, dei servizi, della logistica e dell’utilizzo domestico; questo dovrà comunque avvenire senza ripercussioni sulla tenuta dell’apparato industriale e dei servizi.
Per queste motivazioni siamo convinti che il gas naturale dovrà accompagnare la riconversione energetica e produttiva per i prossimi trent’anni. Nel frattempo si dovrà progressivamente incrementare l’utilizzo delle Fonti di Energia Rinnovabile, obiettivo sul quale siamo molto d’accordo, ma con realismo sappiamo che non si potrà “sganciare” il pianeta dall’oggi al domani dai fossili; le recenti conclusioni della COP26 di Glasgow hanno fatto emergere ulteriormente le difficoltà di avere un profilo globale sul contrasto al cambiamento climatico e sull’introduzione delle FER a regime. Altre filiere da sostenere sono quelle dell’utilizzo dell’idrogeno, del biometano e la ricerca sulla fusione nucleare. L’idrogeno, sul quale si dovrà molto lavorare per abbattere i costi di utilizzo, potrà essere una nuova frontiera per le energie sostenibili sia nella “versione blu” (da gas metano, attraverso lo sviluppo dei sistemi di cattura della CO2) che particolarmente nella “versione verde” (elettrolisi da fonti rinnovabili).
Ribadiamo con realismo, chiarezza e determinazione una linea sindacale che da anni è patrimonio della nostra organizzazione; gestire bene la transizione permetterà al Paese di giungere all’appuntamento con la trasformazione del modello di sviluppo avendo nel frattempo attivato le indispensabili politiche di contenimento delle ricadute occupazionali proprie dei momenti di riconversione produttiva e professionale, agendo nella formazione per riqualificare i lavoratori e rivisitando anche il sistema educativo e di istruzione superiore e universitaria in grado di supportare questi delicati processi.
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