La situazione al confine tra Russia e Ucraina continua a destare preoccupazione, anche per gli effetti che potrebbero esserci per le forniture moscovite di gas e i relativi contraccolpi sul prezzo dell’energia che sta mettendo in difficoltà molte imprese italiane, in particolare quelle dei settori energivori, e sull’inflazione che negli ultimi mesi ha intrapreso un forte trend ascendente.
Lo spread ha intanto raggiunto i 170 punti base, continuando quindi a mettere pressione al Mef sulla necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici. «Nel breve termine – spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – non può esserci una soluzione definitiva al problema del caro energia: si può solo cercare di alleviarne gli effetti, evitando però che vengano frenati i progetti di riconversione energetica».
Questo può essere un problema non solo per i costi di produzione di molte imprese, ma anche per l’inflazione.
Credo che su questo fronte le famiglie consumatrici, con le loro scelte, potranno fare la differenza, a meno che l’inflazione non dilaghi. Se, infatti, nelle decisioni relative al cosiddetto carrello della spesa si presta più attenzione non solo alla qualità, ma anche al prezzo, grazie alla concorrenza si può contenere parte dei rincari. Cosa che le grandi e piccole catene distributive stanno già facendo. Per avere prezzi più contenuti bisogna il più possibile avvicinare produttori e consumatori, con iniziative di carattere locale che sono già in atto e potrebbero aumentare. D’altro canto questo stesso principio si può applicare alle catene produttive.
Cosa intende dire?
Con la pandemia è apparso molto chiaro che la globalizzazione è in grado di contenere alcune spinte inflattive, ma a condizione che tutto funzioni alla perfezione, che non ci siano inceppamenti. Per fare un esempio, sui chip più ci si è resi conto di quali conseguenze possono esserci se esistono pochi produttori mondiali concentrati nella stessa area geografica. È molto importante, quindi, che si riescano ad avere catene produttive più corte e per quanto possibile maggiormente sul proprio territorio. Soprattutto per quei beni che fanno parte del carrello della spesa.
Il Governo sta mettendo a punto un nuovo provvedimento sul caro energia ed è arrivata anche la richiesta di un intervento sull’Iva per contenere i rincari dei prodotti che entrano nel cosiddetto carrello della spesa. Pensa che l’esecutivo dovrebbe accogliere questa istanza?
Il vero problema è che il Governo deve muoversi sul filo del rasoio, perché è vero che il rapporto debito/Pil è sceso, ed è una buona notizia, ma è importante essere consapevoli del fatto che l’aspettativa di molti è che ci sia un intervento massivo di sostegno pubblico e che questo crei disavanzo, generando così occasioni di profitto per chi specula sul nostro spread. Si può quindi intervenire contro i rincari, ma con grande cautela ed evitando sprechi, viste le notizie arrivate in questi giorni sul superbonus: legalità a parte, si tratta di risorse buttate. Per evitare di fare nuovi sacrifici che finiscono poi per pesare sui soliti noti, bisogna utilizzare con grande attenzione le risorse disponibili.
Abbiamo di fatto tre minacce davanti a noi dopo un anno chiuso con una crescita record: caro energia, inflazione e spread. Quale va temuta di più?
A mio parere l’inflazione, per due motivi. Il primo è che esiste obiettivamente il rischio che si crei un clima di aspettative rialziste, dal carrello della spesa fino all’immobiliare, avviando un processo autoalimentante che è poi difficile fermare. Il secondo è che abbiamo un tasso di interesse reale, al netto cioè delle aspettative dell’inflazione, positivo e in crescita. Questo è un problema serissimo per lo spread. Il rischio di un’escalation inflattiva è quindi il pericolo maggiore, ancora più dello spread, perché di fatto quest’ultimo dipende dall’inflazione.
(Lorenzo Torrisi)
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