“Serviva una guerra per far capire all’Italia quanto sia importante sfruttare i propri giacimenti di idrocarburi o costruire una politica energetica chiara?”. Per Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli, che rappresenta diversi settori dell’indotto petrolifero, sia nell’upstream che nel downstream, è questo il tema cruciale su cui bisogna dare al più presto una risposta.
Perché in un paese come il nostro, che “ignora cosa sia la cultura energetica”, il fatto di essere totalmente dipendenti dalle forniture estere è causa di molti problemi, compresi quelli legati ai costi delle bollette e dei carburanti. Ma una via di uscita ai rincari c’è: riprendere la produzione nazionale. “Se va a pieno regime nell’arco di 5-10 anni – ricorda Marsiglia –, l’Italia può produrre il 54% del proprio fabbisogno di petrolio e di gas”.
E’ scattato ieri il taglio di 25 centesimi alle accise sul prezzo dei carburanti, deciso dal governo, ma non tutti sono soddisfatti. Che ne pensa?
Non siamo dell’idea che si possa accusare un governo già alle prese con l’emergenza Covid e l’emergenza guerra, che sono difficili da gestire. Anzi, sulla questione energetica il governo Draghi sta operando in modo egregio. Lo Stato non può certo abbattere accise e Iva di colpo, altrimenti il deficit salirebbe troppo e andrebbe a pesare sui bilanci pubblici per diversi anni.
Ma non si può proprio fare di più?
Apprezziamo questo taglio di 25 centesimi. Non è ancora tanto rispetto a quello che si potrebbe fare sulle accise, non sull’Iva. Le accise sono composte da 18 voci e alcune talmente datate che non hanno più motivo di esistere. Credo che ci saranno altre manovre, visto che finora non abbiamo avuto alcuno scostamento di bilancio. E in tal caso, si potrà senz’altro fare qualcosa in più. I prezzi dei carburanti comunque si calmeranno e tenderanno a stabilizzarsi: il petrolio in due settimane è già sceso da 140 a 108 dollari al barile. Certo, i consumatori non possono mettersi a ballare…
Intanto la Procura di Roma ha aperto un’indagine sulla corsa dei prezzi dei carburanti dopo la denuncia del ministro Cingolani, che ha parlato di “colossale truffa”. Che cosa sta succedendo?
Noi abbiamo un organismo di controllo dello Stato, l’Antitrust, che giorno dopo giorno, in concorso con il ministero dello Sviluppo economico, monitora e vigila sui prezzi che le compagnie comunicano tutte le mattine. Le parole del ministro sono state strumentalizzate. Se si analizzano bene, Cingolani ha detto: “siamo in una truffa colossale a livello globale internazionale”. Sono però sicuro che le sue parole non erano riferite all’indotto italiano e alle compagnie italiane. Ben venga, invece, l’indagine, perché si vedrà, se ovviamente non ci saranno illeciti, che non c’è stata manipolazione nei prezzi.
La guerra in Ucraina quanto mette a rischio il nostro approvvigionamento di petrolio dalla Russia?
Secondo i dati 2021, l’import in Italia dei due-tre tipi di greggio russo non arriva a 5 milioni di tonnellate su un totale di 68 milioni di tonnellate importate. Una quota irrisoria. Il petrolio russo quindi non crea problemi di approvvigionamento, perché abbiamo potuto sostituirlo con altri greggi. Ma c’è un problema: non solo l’Italia, ma anche gli altri paesi europei, che importano quote maggiori di petrolio russo, si sono automaticamente spostati su altre location di fornitura.
Sta dicendo che è in atto una redistribuzione a livello internazionale delle quote petrolifere?
Esatto. Si sta delineando dopo 50 anni una nuova fotografia dello scenario petrolifero. Tenga conto, per esempio, che anche gli Stati Uniti stanno rinegoziando quote di petrolio al Venezuela, paese che avevano sanzionato…
Potremmo andare incontro a uno shock petrolifero?
In realtà lo stiamo già vivendo. In questo momento si va a comprare petrolio là dove si può e ai prezzi più disparati, tenendo conto ovviamente della diversa qualità delle lavorazioni.
Vale anche per il gas?
Stiamo andando il più velocemente possibile a stringere contratti per stabilire rapporti bilaterali più robusti.
Come è messa l’Italia?
Adesso compriamo all’estero il 95% del gas e solo il 4,7% lo prendiamo in Italia. La situazione dell’oil&gas è bloccata da anni. Con il governo Renzi abbiamo avuto il decreto “Sblocca Italia”, che poi in realtà si è trasformato in un “blocca Italia”; poi c’è stato il referendum, infine il decreto Semplificazioni, che ha fermato gran parte delle attività petrolifere nazionali. Non stiamo parlando solo della perforazione, ma anche di rigassificatori, di nuovi gasdotti… Finché non verrà definita una strategia energetica nazionale chiara, saremo sempre nella posizione di paese dominato, non dominante, e i prezzi non li potremo stabilire noi.
Lei da anni e più volte ha definito la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero “inaccettabile”. Che cosa non è stato fatto e si sarebbe potuto fare?
L’approvvigionamento estero è importante, è giusto stipulare degli accordi, perché nessuno Stato ha al suo interno tutte le quantità e qualità di greggio o di gas disponibili. Il greggio iraniano, per esempio, è ottimo per ottenere l’asfalto drenante per usi industriali. Ma gli accordi vanno siglati al massimo al 50%, e non come noi per quasi il 90%. Nel corso degli anni abbiamo avuto problemi con la Russia, con la Libia, con l’Arabia Saudita… Se nello Stretto di Hormuz si incaglia una petroliera, come successo tempo fa, che blocca il traffico marittimo, noi ne risentiamo pesantemente. E non avere fornitori in casa significa essere controllati solo da un mercato esterno.
Quanto può produrre l’Italia per soddisfare il suo fabbisogno petrolifero? Dove si può estrarre petrolio?
Se va a pieno regime nell’arco di 5-10 anni, l’Italia può produrre il 54% del proprio fabbisogno di petrolio e di gas. Con le nuove tecnologie, non solo in Basilicata e in Lombardia, ma in quasi tutte le regioni ci sono possibilità di estrarre petrolio e gas, sfruttando pozzi a terra. Ma anche piattaforme offshore, visto che per definizione, dove c’è mare sotto c’è metano, e anche puro, quindi che non richiede una lavorazione costosa. Nel nostro paese abbiamo quasi 1.500 pozzi che devono essere messi ancora in produzione: abbiamo già perforato, già messo la valvola, bisogna solo realizzare piccoli gasdotti da tre pollici per metterli in produzione.
Cosa si può fare?
Non si tratta solo di sfruttare petrolio e gas dei propri giacimenti, ma di arrivare a un 100% di mix energetico, utilizzando tutte le fonti disponibili, dagli idrocarburi alle rinnovabili e all’eolico. In questo modo anche le bollette di imprese e famiglie si abbassano, perché riusciremmo a definire un nostro prezzo di mercato. A quel punto, ben venga anche l’approvvigionamento dall’estero.
Burocrazia ed ecologismo sono due ostacoli impervi e insormontabili?
L’unico vero ostacolo è la burocrazia, che sta anche confondendo l’opinione pubblica.
Secondo lei non esiste più la figura del petroliere cattivo, che arriva con la ruspa e scava il pozzo?
No, non esiste pi da decenni, le cose si devono fare nel massimo rispetto delle comunità locali. Già nel 2012 come FederPetroli lanciammo un’operazione trasparenza proprio per spiegare alle amministrazioni e alle comunità locali quali erano i vantaggi, i rischi – perché noi non trattiamo acqua minerale ma idrocarburi – e gli sviluppi occupazionali. Il problema maggiore non sono gli ambientalisti, anche perché da 20 anni l’ecosostenibilità del nostro settore è molto migliorata, grazie all’uso di tecnologie più amiche dell’ambiente.
Ci può citare un esempio concreto?
Dopo il terremoto in Emilia del 2012, quando le perforazioni erano state criminalizzate, visto che l’evento sismico aveva interessato aree dell’ex Agip, la costruzione di un pozzo, sia a terra che in mare, costa ormai il doppio, perché sono previste delle specifiche atte ad allontanare qualsiasi rischio di pericolosità sismica.
Come tutelare estrazione e ambiente, che è una delle maggiori preoccupazioni degli italiani?
Si può tranquillamente fare attività petrolifera con una giusta redistribuzione delle aree, con una giusta ecosostenibilità e con le tecnologie attuali. Noi infatti non parliamo mai di transizione energetica, bensì di transizione di processo: per il nostro settore si tratta di migliorare i processi industriali.
Il possibile embargo dell’Occidente al petrolio russo potrebbe causare una fiammata dei prezzi dell’oro nero, che potrebbero schizzare “a 300 dollari al barile”. Lo ha dichiarato il vice primo ministro russo Alexander Novak. Come vede nel 2022 le quotazioni del greggio?
Noi operiamo per il 40% in paesi che sono interessati da tensioni e conflitti bellici, dalla Libia al Mozambico, e il lockdown del 2020 ha bloccato tantissimi progetti di investimento. Abbiamo avuto anche una forte volatilità del prezzo del greggio, che è sceso l’anno scorso sotto i 30 dollari al barile. Per poter recuperare tutto ciò che abbiamo perso in investimenti un prezzo che può fare da break even si aggira sui 120 dollari al barile, ma per poter definire la quotazione stabile è necessario che mantenga l’oscillazione intorno a quei livelli per almeno 5-6 mesi. Per ora non vediamo segnali di prezzo stabile. Non è ancora chiaro come sarà delineato il futuro del mondo petrolifero, oggi in piena ricomposizione geopolitica e oggetto di forti pressioni speculative.
(Marco Biscella)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.