Sul caro bollette il presidente del Consiglio ha preannunciato nel suo discorso al porto di Genova il 9 febbraio “interventi di ampia portata”.
Il governo è intervenuto finora con misure congiunturali che non toccano l’assetto del sistema energetico nazionale. Riduzione degli oneri generali di sistema per il primo trimestre di quest’anno e sussidi agli utenti più esposti per circa 5-7 miliardi. Un palliativo, se è vero – come afferma il ministro Cingolani – che l’aumento della bolletta rischia di fagocitarsi tutto il Pnrr.
Il Governo e il Parlamento in materia di “fonti di energia” dispongono di poteri molto incisivi in base all’articolo 43 della Costituzione, che ha previsto una riserva di legge per introdurre correttivi alle eventuali disfunzioni del sistema e ai rischi di monopolio privato che possono arrivare fino alla nazionalizzazione.
La liberalizzazione dei mercati energetici dell’Ue non è un ostacolo. Le direttive sono a maglie larghe, in modo da far convivere modelli diversi. La Francia, nella sostanza, ha conservato il precedente assetto con un forte controllo in mano pubblica mascherato da una privatizzazione formale. Tant’è che Macron può stabilire di contenere gli aumenti entro il 4%. La Germania è un modello diverso per mix energetico e organizzazione del sistema, ma ha conservato in capo al governo centrale la programmazione e la definizione delle scelte strategiche di sviluppo.
C’è, dunque, spazio per “interventi di ampia portata”. Interventi strutturali che dovrebbero incidere nell’assetto del settore energetico: regole e modalità di funzionamento del mercato, gestione delle reti, nonché funzioni degli organismi e delle utility che vi operano.
Partiamo da un paradosso. Da noi l’impennata dei prezzi non sembra avere determinato una riduzione degli utili delle principali utility del settore energetico. Le loro quotazioni hanno segno positivo con ricavi e dividendi in crescita, come attestano del resto molte relazioni di fine anno.
La spiegazione nella logica economica sarebbe intuitiva: la scarsa concorrenza sul lato dell’offerta a fronte di una domanda “vincolata”, come si dice in gergo. Così gli interventi dovrebbero riguardare, in concreto, entrambe le componenti da cui dipende il costo della bolletta: la componente “oneri di sistema” e la componente “spesa per la materia energia”.
La prima è sostanzialmente una “tariffa”. Una remunerazione imposta dall’Autorità di regolazione (Arera) per gli oneri del sistema, per il trasporto e per l’organizzazione e il funzionamento dei mercati energetici. La tariffa remunera una nutrita schiera di operatori sia pubblici che privati, tra cui la stessa Arera, il cui costo grava sulla tariffa con un ammontare, stabilito nella legge istitutiva del 1995, pari allo 0,5% dei ricavi complessivi del settore energetico. Il che oggettivamente non è un incentivo a calmierarli.
La seconda componente è invece il prezzo dell’“approvvigionamento della materia energia” che viene rilevato nel mercato regolamentato sulla base degli scambi tra fornitori e acquirenti.
Cercheremo di indicare di seguito le principali criticità della tariffa e della formazione/rilevazione del prezzo.
La componente “oneri di sistema” cumula varie voci di costo stratificatesi nel tempo, che andrebbero sfoltite e ridimensionate. A partire dai costi cosiddetti “incagliati”, dei quali si sono sgravate le società privatizzate-concessionarie per non appesantirne i bilanci in vista del collocamento azionario. Gli oneri di sistema in senso stretto sono derivati dalla segmentazione del sistema elettrico nazionale verticalmente integrato e anche poi del gas. La separazione delle reti di trasporto ha generato una pluralità di operatori che fanno capo a gruppi societari in mano pubblica, i cui costi – prima della privatizzazione – erano internalizzati nell’integrazione verticale della rete, con conseguenti economie di scala. Costi che, come avverte Arera, hanno una tendenza costante all’aumento.
Ma la componente di voce più rilevante deriva dal sostegno alle energie rinnovabili, pari a circa il 75% degli oneri complessivi. La spesa ha avuto un incremento esponenziale, dopo la liberalizzazione del mercato elettrico di cui al decreto legislativo 79/99, cosiddetto decreto Bersani, che ha normato la tariffa Cip 6 del 1992, la cui metodologia di calcolo, inizialmente limitata alle concessioni idroelettriche, è stata estesa al fotovoltaico, all’eolico e alla cogenerazione, sulla cui compatibilità ambientale sussistono peraltro fondate riserve.
Nella sostanza, la metodologia Cip 6 dà luogo a contratti di acquisto di durata pluridecennale che assicurano prezzi estremamente remunerativi ai concessionari o proprietari delle fonti di generazione delle rinnovabili. Le autorizzazioni ai nuovi impianti, rilasciate senza alcuna programmazione e a spron battuto dal Ministero delle Attività produttive negli anni 2000, in contrasto con la cronica lentezza amministrativa, hanno rapidamente saturato il settore, nonostante – o forse proprio perché – tali autorizzazioni siano state rilasciate esclusivamente agli allacci in rete in alta e media tensione. Vale a dire allacci di cui hanno potuto beneficiare esclusivamente player energetici di medie e grandi dimensioni.
La disciplina andrebbe rivista. Non ci si può inchinare davanti alla parola “rinnovabili” né tantomeno accettare la dottrina giuridica dei diritti acquisiti, una specie di “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato” a vantaggio di alcuni e a spese degli utenti. Si potrebbe prendere come termine di paragone, per tutte le rinnovabili, il corrispettivo riconosciuto dal Gse agli allacci del fotovoltaico in alta e media tensione per il ritiro delle eccedenze di autoproduzione immesse in rete – i cosiddetti “contratti di scambio sul posto” – di molto inferiore a quello riconosciuto agli impianti connessi in alta e media tensione, figli di un dio minore: circa il 50% del costo della materia energia in bolletta.
Altra componente di costo, in genere inosservata, è il “trasporto e la gestione del contatore”, che incide circa tra il 20% e il 30% dell’importo complessivo della bolletta a seconda che si tratti di elettricità o gas.
La vicenda è complicata dalla peculiare scelta, risalente all’atto della liberalizzazione, di spalmare la spesa del trasporto in misura perequata su tutte le forniture, a prescindere dalla distanza del punto di immissione a quello di prelievo dell’energia. Per quanto Arera sembri intervenire con misure che cercano di assicurare la qualità, l’efficienza del servizio, la perequazione ha un effetto distorsivo sul mercato.
Analogo discorso per gli introiti derivanti dagli oneri in bolletta per la “gestione dei contatori”. Non si vede perché la loro proprietà debba essere del distributore piuttosto che degli utenti finali, come avviene in altri sistemi energetici, sgravandoli così dal canone.
Anche il meccanismo di formazione del prezzo è un punto critico. Il mercato “libero” dell’energia, in cui si forma e si rileva il prezzo di cui alla voce in bolletta “approvvigionamento della materia energia e per la commercializzazione al dettaglio”, è estremamente complesso: varie piattaforme di contrattazione incluse nel perimetro della Borsa elettrica e della Borsa del gas metano, Mercato del giorno prima, Mercato infragiornaliero; Mercato dei prodotti giornalieri; Mercato del servizio di dispacciamento. A questi mercati dell’energia fisica si aggiungono il mercato dei certificati di efficienza energetica e il mercato dei derivati trattati sulla piattaforma Idex. La ragione prima di tale complessità sta nel fatto che l’energia elettrica, non essendo una merce stoccabile – un po’ più il metano -, deve essere offerta in rete simultaneamente alla quantità domandata.
Il Mercato del giorno prima ospita – come ricorda Arera – la maggior parte delle transazioni di energia elettrica. È il mercato principale per la rilevazione dei prezzi, ma non è il più importante per volumi trattati, che sono invece scambiati tramite “contratti bilaterali” all’ingrosso al di fuori della borsa. Un “mercato ombra”, i cui prezzi – a quanto sembra – non concorrono al calcolo del prezzo ufficiale per la voce “approvvigionamento della materia energia e per la sua commercializzazione al dettaglio”.
Che dire? Il delta di prezzo che si forma sul mercato ombra dovrebbe essere conosciuto per evitare che si possa lucrare facendo riferimento, per le forniture al dettaglio, ai prezzi più elevati rilevati nel mercato ufficiale. Per evitare questo rischio prima della liberalizzazione si era pensato di introdurre l’obbligo di concentrazione di tutte le transazioni nel mercato ufficiale. Poi, con il Dlgs 79/99 non se ne fece nulla. Ma – verrebbe da dire – non è mai troppo tardi.
I contratti “spot” a breve scadenza sembrano di gran lunga prevalenti nel mercato ufficiale. Sono particolarmente apprezzati dalla speculazione, perché le oscillazioni di prezzo aprono opportunità per il mercato dei derivati. Da quanto sembra emergere dalla regolamentazione della Cde – la Piattaforma dove vengono eseguiti i contratti finanziari derivati sull’energia elettrica conclusi sull’Idex – sarebbero trattati anche derivati – a quanto posso capire – non muniti di sottostante contratto di scambio fisico, in gergo finanziario detti “nudi”. Il che significa che accanto ai contratti di copertura del rischio di oscillazioni dei prezzi di compravendita di energia sono trattati anche contratti puramente speculativi, scommesse – in buona sostanza – sull’andamento dei prezzi.
Lasciando a chi ne ha competenza il compito di accertare o smentire l’esattezza di tali supposizioni, è certo ad ogni modo che i contratti spot, a differenza di quelli pluriennali, enfatizzano l’aumento dei costi della materia energia in bolletta.
E, in effetti, tali aumenti sono stati meglio ammortizzati in quei paesi, come la Germania, in cui i costi in bolletta si basano prevalentemente sui prezzi dei contratti pluriennali di acquisto del gas metano.
Rimane così inevasa per noi la domanda di Putin – apparso in un flash di qualche telegiornale malizioso e apparentemente stupito – che chiedeva, a fronte delle lamentele sul caro metano, quale fosse il motivo della strana preferenza per i contratti spot.
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