Aumentare la produzione nazionale di gas naturale, per ridurre la dipendenza dall’estero del nostro Paese; valorizzare la produzione di energia rinnovabile gestita dallo Stato, utilizzandola per rifornire, a prezzi competitivi, l’industria manifatturiera; intervenire sugli oneri di sistema, per allineare la regolazione nazionale alla legislazione dei competitor francesi e tedeschi. Sono le tre richieste che il Tavolo della Domanda, che raggruppa le associazioni delle principali categorie produttive energivore, ha rivolto ieri al governo Draghi, nel giorno in cui il presidente del Consiglio ha avuto una telefonata con Vladimir Putin.
Il nodo è sempre quello: il prezzo (e le forniture) del gas, che in Italia continua a essere 5 volte maggiore rispetto a un anno fa, mettendo a repentaglio la competitività della seconda manifattura d’Europa. Come sta accadendo all’industria del vetro, settore strategico per tante filiere produttive, che dallo scorso autunno – ammette Walter Da Riz, direttore di Assovetro, l’Associazione Nazionale degli Industriali del Vetro aderente a Confindustria – “ha iniziato a produrre in perdita”, senza però poter fermare gli impianti, “perché i forni si rompono e dovremmo poi buttarli via”.
Insomma, le industrie energivore sono ancora alle prese con il caro gas. Anche dopo le misure varate dal governo con il decreto Sostegni ter?
Questo decreto legge è un primo passo che va nella giusta direzione, purtroppo però sarebbe stato necessario compierlo ben prima.
Che cosa chiedete adesso al governo?
Tre misure urgenti, di medio termine e a costo zero per il bilancio dello Stato. Innanzitutto, una “gas release”: vogliamo che venga aumentata la produzione di gas naturale di almeno 3 miliardi di metri cubi, rendendola disponibile alle imprese più impattate dal caro gas, ad un prezzo accettabile, non speculativo, come avviene oggi sui mercati.
La seconda richiesta?
Chiediamo una “electricity release”: lo Stato ritira da impianti fotovoltaici, eolici o di altra fonte rinnovabile circa 25 Twh, cioè 25 milioni di Mwh, mettendoli a disposizione dei settori energivori a prezzo calmierato, “politico”. Come fa la Francia con l’energia nucleare, che offre 100Twh, equivalenti al 30% dei consumi nazionali, a 42 euro a Mwh, prezzo a cui le imprese possono acquistare fino al 60% del loro fabbisogno energetico. Pensi che in Italia siamo arrivati anche a 200 euro a Mwh, cinque volte tanto.
Terza priorità?
Allineare il costo degli oneri generali di sistema per le imprese alla disciplina comunitaria, che prevede una riduzione fino all’85%. Oggi in Italia siamo al 40% e non si capisce perché.
L’obiettivo?
Solo con questi tre interventi possiamo sperare di continuare a produrre in Italia e di poter competere ancora sui mercati internazionali.
Quindi la spia dei prezzi del gas è ancora rossa. Gli aumenti continuano? A che quotazione siamo?
Oggi siamo leggermente più bassi del picco di dicembre, ma pur sempre a livelli 4-5 volte maggiori rispetto a inizio 2021.
Che cosa vi aspettate nel breve?
Non vediamo segnali di decrescita. Anche prodotti a 5 anni sono comunque quotati almeno il doppio, il che significa che fino al 2024 sconteremo questi prezzi per noi incompatibili.
Quanto pesa oggi la bolletta energetica sul settore del vetro?
In condizioni normali l’energia incide mediamente per il 30%, adesso che il prezzo del gas è aumentato di 5 volte pesa per il 70% sui nostri costi produttivi. E tenga conto che noi andiamo principalmente a gas, perché il vetro fonde a 1600°C e con la corrente elettrica è difficile arrivarci. Anche in futuro avremo bisogno di un combustibile, magari verde, ma sempre combustibile.
In concreto?
Se fino all’anno scorso una bottiglia da 0,75 litri per il vino costava 15 centesimi, ora viene venduta a 25 centesimi, solo per coprire i costi in più.
Questi aumenti potrebbero alla fine essere sempre più scaricati sul consumatore finale?
Siamo un’industria di base strategica, perché il vetro si presta a molti utilizzi, dagli imballaggi alimentari fino all’edilizia, dall’automotive alle fibre di rinforzo per gli scafi delle navi, e quindi serviamo molti comparti produttivi a valle. E sta proprio qui il problema del ribaltare i nostri costi sugli utenti finali: creeremmo molta inflazione. Ecco perché questo trasferimento è oggi impossibile.
Quindi?
Di fatto abbiamo compresso i margini e abbiamo iniziato, dallo scorso autunno anche in maniera consistente dopo le avvisaglie che si vedevano già prima dell’estate, a produrre in perdita.
Quanto potete ancora resistere?
Allo stato attuale è impossibile dirlo, ma è chiaro che un’azienda non può produrre in perdita.
C’è un rischio di fermo impianti?
Ci piacerebbe fermare gli impianti, ma non possiamo, perché i forni si rompono e dovremmo poi buttarli via.
Se il settore del vetro riduce la sua capacità produttiva, che rischi corrono l’economia e l’industria italiana?
Già prima di Natale le associazioni di produttori di bevande faticavano a trovare le bottiglie, perché produrre a quei prezzi era impossibile e avevamo ridotto un po’ la produzione, perché un forno non si può spegnere, ma un margine di utilizzo del 10% in meno c’è.
Le tensioni in Ucraina vi preoccupano molto? Temete interruzioni nella fornitura di gas?
Sì, ci preoccupano. Altre aree del mondo, come gli Stati Uniti, non hanno vissuto le stesse violente fiammate dei prezzi che si vedono in Europa. Il problema dipende dal fatto che la Ue prima si è legata un po’ troppo alla Russia come monofornitore del gas, poi si è messa in una posizione di contrasto, come ha evidenziato la vicenda del gasdotto Nord Stream 2. Ecco perché il governo italiano dovrebbe dire all’Europa che è folle mettersi contro un fornitore strategico.
L’Italia come è messa?
Rispetto a Germania, Francia o Polonia, il nostro paese è avvantaggiato dalla sua posizione geografica: possiamo prendere il gas naturale non solo dalla Russia, ma anche dall’Asia centrale, grazie al Tap, e dal Nordafrica, utilizzando il Green Stream che parte dall’Algeria. Ma il fatto che i governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni abbiano ridotto la capacità dei contratti d’acquisto di quel gas a vantaggio di quello commercializzato nel Nord Europa non ci è sembrata una scelta strategica lungimirante. A partire dalla cancellazione e ricontrattazione di tutti i contratti di fornitura di lungo periodo, denominati take or pay.
L’Europa sta sbagliando anche la sua strategia di transizione green?
Noi siamo convintamente a favore della transizione, abbiamo sempre operato in tal senso, tanto che negli ultimi 35 anni abbiamo ridotto di tre volte e mezzo le nostre emissioni di CO2, tutto a spese nostre, senza utilizzare granché fondi pubblici.
Detto questo?
Il climate change è una emergenza vera, è giusto quindi accelerare, ma le industrie energivore, e quella del vetro in particolare, non sono il problema, ma la soluzione.
Perché?
Se non si fa in modo che le industrie energivore siano coinvolte in questa transizione, i nostri prodotti verranno realizzati in Turchia o in Nordafrica, ossia in paesi dove la transizione green non si farà mai. Al di là dei costi, che già sono un problema enorme, converrebbe essere un po’ più cauti su alcune scelte, rendendosi conto delle vere implicazioni dal punto di vista industriale.
Ci può fare un esempio?
Se io devo arrivare a emissioni zero nel 2050 e visto che un forno dura 15 anni, significa che devo costruirlo entro il 2035. In pratica, in 13 anni noi dovremmo riconvertire tutta la capacità produttiva europea dei settori energivori. Ma in Europa, contando solo le fabbriche di contenitori in vetro per l’alimentare, abbiamo 200 impianti circa da rifare. Le pare possibile?
Voi cosa suggerite?
Noi chiediamo un programma di transizione verde che sia serio, tenga conto della realtà, metta disposizione le risorse necessarie alle imprese e raggiunga davvero l’obiettivo che si prefigge.
(Marco Biscella)
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