Le aziende stanno trasferendo il rialzo del costo di petrolio e gas ai prezzi di beni e servizi: trasporti, noli, cibo, ecc. Il Governo sta limitando i rincari delle bollette, ma l’effetto sarà solo parziale. Le Banche centrali americana ed europea (r)assicurano che il picco di inflazione è un fenomeno temporaneo. Ciò è credibile per alcune materie prime e per la scarsità di chip che ha bloccato, per esempio, l’industria automobilistica perché il fenomeno è dovuto ad anomalie nella ripresa. Ma lo è meno al riguardo dei costi dell’energia fossile. I suoi produttori investono meno in nuovi giacimenti perché temono un calo della domanda nel lungo termine ed alzano i prezzi delle risorse che già sfruttano, aumentando le forniture ogni mese, ma meno di quanto è la domanda stessa. In sintesi, fanno cassa oggi per prepararsi a un futuro dove potrebbero farne di meno.
Il ministro Cingolani ha dichiarato che il problema verrà risolto nei primi mesi del 2022 quando andranno a pieno regime nuovi gasdotti. Ma non necessariamente ciò abbasserà di molto i prezzi. La Russia sta dando meno gas all’Europa perché la Cina ne chiede di più. Inoltre, Mosca vede che la costruzione di fonti alternative (eolico, solare e idro) è lenta nonché compromessa da dubbi tecnici che queste siano stabili. Pertanto è improbabile che rinunci a sfruttare il vantaggio. Infatti, sta aumentando il ricorso al carbone, per esempio in Germania, oltre al gas fossile, così “sporcando” la rivoluzione verde e mettendo in forse l’obiettivo Ue di neutralità carbonica entro il 2050.
Si dovrà revisionare tutta la politica energetica per evitare crisi di scarsità e inflazione. Come? Pressioni geopolitiche, nel breve, e, nel medio, accelerazione del nucleare.
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