Conosco un tizio che festeggerà Pasqua il 5 maggio. È lo stesso che ha brindato all’anno nuovo verso febbraio e che ha tagliato il panettone per il suo Natale a inizio dicembre. Pazzo? Forse, ma è la sua forma di protesta, stanco di sentirsi costantemente un limone da spremere dal sistema-festività. Ossia dai mercati che sfruttano le date rosse in calendario per far lievitare i prezzi dai listini, in una corsa al rincaro senza fine, rimasta adesso senza nemmeno il paravento dell’inflazione, scesa allo 0,8%. Esempi? Limitandoci al periodo pasquale, i rilevamenti compiuti da Assoutenti parlano dei prezzi dei generi alimentari più tradizionali (dalle carni caprine ai salumi) cresciuti di circa il 4%, ma anche dell’olio d’oliva schizzato a oltre il +40%. Per non dire dei trasporti: treni a +6%, aerei a +13%. E così via, per ristoranti, ingressi a musei, monumenti, mostre… Sono i risultati della deregulation spinta dal pricing, le politiche sui prezzi affidate all’estro di chi eroga beni o servizi, o addirittura ad algoritmi orientati al massimo profitto.
Certo è che il tizio che dicevo dimostra una certa resistenza a date e comportamenti massificati, richiami difficili da ignorare, spinti come sono dalle tradizioni e da massicce campagne di promozione, e non dubito che le sue scelte ai più sembrino solo i vezzi di un eccentrico. Anche se in realtà proprio le destagionalizzazioni e il riprogrammare le date di qualsiasi evento su calendari più estesi sono modelli oggi indicati quali buone pratiche, anti overtourism e pro economy.
Oggi, a parità di consumi rispetto al 2023, Assoutenti sostiene che la spesa per imbandire le tavole pasquali raggiungerà i 2,2 miliardi di euro, mentre si spenderanno 430 milioni di euro per il pranzo di Pasqua al ristorante. La vera mazzata, però, sarà quella su viaggi e spostamenti, con un aggravio di spesa stimato in +700 milioni di euro rispetto allo scorso anno. Complessivamente il caro-Pasqua, insomma, costerà ai consumatori italiani circa un miliardo in più rispetto agli anni precedenti. Considerando che stipendi e pensioni non hanno goduto di aumenti particolari, si potrebbe chiedere da dove arrivino queste extra uscite, ma è facile rispondere: dai risparmi.
Un anno fa la Fabi calcolava che nei primi tre mesi si erano bruciati 89,5 miliardi sui soli conti correnti, con una tendenza al risparmio prossima allo zero. Adesso la discesa inflattiva consente prospettive migliori, ma non troppo, almeno fino a quando non si arriverà finalmente al primo calo del costo del denaro, rimandato mese dopo mese.
Il Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc), ancora in collaborazione con Assoutenti, ha preso in esame la voce più consistente del caro-Pasqua, i viaggi aerei, analizzando l’andamento delle tariffe durante le festività per biglietti verso Sicilia e Sardegna, o per alcune città all’estero. Ne è emerso che un volo a/r dai principali aeroporti italiani (partenza venerdì 29 marzo, ritorno martedì 2 aprile) per Catania costa 365 euro da Torino, 319 da Verona, 317 da Venezia, 144 da Roma. Stesse date da Palermo: 305 euro da Forlì, 295 da Bologna, 288 da Torino, 259 da Milano. Per la Sardegna, stesse date: da Bologna ad Alghero 334 euro, 323 euro per Cagliari, e da Verona a Cagliari 279 euro (sempre senza costi aggiuntivi, come scelta del posto o bagagli). Per l’estero (a/r), partenza 29 marzo e ritorno 1 aprile: per Amsterdam da Roma 489 euro, 455 da Milano a Berlino, 336 da Roma a Madrid, 302 da Roma a Copenhagen, 254 da Milano a Barcellona.
“Nonostante gli sforzi messi in campo dal Governo – ha detto Furio Truzzi, presidente del Crc -, il fenomeno del caro-voli sembra senza soluzione, e le compagnie aeree continuano a imporre il proprio strapotere ricorrendo ad algoritmi che fanno salire le tariffe alle stelle in concomitanza con i periodi di festa e le partenze dei cittadini, senza che gli utenti possano in alcun modo difendersi da tali politiche scorrette”. “Con queste tariffe – ha aggiunto il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso – viaggiare in aereo sta diventando sempre più un lusso per ricchi, una situazione che lede il concetto di continuità territoriale e danneggia non solo i consumatori, costretti e rinunciare alle partenze o tagliare i giorni di villeggiatura, ma anche le imprese locali, disincentivando il turismo”. E dunque, ha ragione quel tizio che farà Pasqua il 5 maggio?
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