Come ci racconta Giorgio Santambrogio, per il Gruppo VéGé, di cui è amministratore delegato, sono arrivate da alcuni fornitori anche quarte richieste di aumento dei listini dall’inizio dell’anno, ma l’ondata di rialzi a doppia cifra dei prezzi dei beni facenti parte del cosiddetto carrello della spesa dovrebbe essere terminata.



Intanto resta sempre sul tavolo del Governo la richiesta di diminuire temporaneamente l’Iva sui beni essenziali (dall’attuale 4% al 2%), di tagliare il cuneo fiscale e di inserire le aziende della distribuzione tra i settori energivori. Queste misure potrebbero dar ossigeno al potere d’acquisto degli italiani e alle imprese, ma l’esecutivo in tutti questi mesi non ha dato alcuna risposta.



Ci parli anzitutto di queste nuove richieste di aumento dei listini.

Sta diventando quasi un caso aziendale da raccontare agli studenti universitari di Economia. Per una dozzina d’anni ci sono state negoziazioni anche non facili perché i fornitori chiedevano ritocchi di mezzo punto o di un punto percentuale, mentre ora siamo alla quarta richiesta dall’inizio dell’anno e siamo ampiamente sopra la doppia cifra percentuale di aumento (la media ponderata è superiore al 20%).

L’anomalia, quindi, non è tanto nella rinnovata richiesta di adeguamento, quanto nell’entità?



Gli aumenti di listino ci sono sempre stati, ma da oltre dieci anni raggiungevano al massimo il punto percentuale ed era quindi possibile mitigarli con qualche promozione o procrastinarli di qualche mese. Stavolta si è arrivati invece alla doppia cifra e ci sono certi prodotti o certi marchi che non si possono non avere sugli scaffali: si è, quindi, in qualche modo “costretti” ad accettare questi aumenti. Si possono ritardare o spezzettare su più categorie, ma non evitare.

Le richieste di aumenti non paiono però ingiustificate. Centromarca ha parlato di un incremento dei costi degli input produttivi che supera il 20%.

Buona parte degli aumenti di listino dell’industria è giustificata. È chiaro che se vediamo richieste di aumenti molto diverse da parte di fornitori i cui prodotti sono tra loro simili, allora qualche domanda ce la poniamo: c’è, quindi, qualche d’uno che specula. Un comportamento dell’industria che noi della distribuzione associata vorremmo fosse stigmatizzato è il seguente: i fornitori negoziano i contratti presso le sedi centrali, ma spesso si recano poi presso le singole imprese associate cercando di togliere delle condizioni favorevoli a livello locale. Questo chiaramente non è un comportamento corretto.

Pensiamo ai consumatori finali: in questi mesi hanno visto aumenti dei costi generalizzati praticamente per qualsiasi tipo di prodotto sugli scaffali. Questo fenomeno continuerà anche dopo l’estate?

Sarò forse ottimista, ma ho la sensazione che l’ondata dovuta agli aumenti di listino, che hanno portato a rincari a doppia cifra, sia terminata. È chiaro però che se dovesse verificarsi un forte incremento degli altri costi, quelli fissi legati al nostro funzionamento, come quelli energetici, della logistica o dei carburanti, potrebbero esserci ulteriori rialzi.

In effetti ci sono anche questi costi da considerare…

Non va dimenticato che noi non possiamo, responsabilmente, scaricare totalmente a valle gli incrementi di listino. Stiamo quindi già da tempo riducendo i margini. Inoltre, non dobbiamo fare i conti solo con gli aumenti verticali che arrivano dai fornitori: trasversalmente continuiamo ad avere una crescita dei nostri costi operativi, dall’energia elettrica, soprattutto in questo periodo dove c’è l’aria condizionata accesa, al carburante per il trasporto delle merci dai CeDi (centri distributivi) ai singoli punti vendita.

Per la distribuzione, quindi, si tratta di cercare di resistere.

Ribadisco una proposta che ho fatto nei mesi scorsi ai partner dell’industria. Credo che sarebbe utile, e qualcuno fortunatamente già lo fa, che nel momento in cui un fornitore presenta la richiesta di un aumento dei listini riesca a giustificarla disaggregando gli incrementi per singola voce di costo industriale. In questo modo non solo può farci meglio capire da dove deriva la sua richiesta, ma allorquando sappiamo che queste voci di costi diminuiscono possiamo accordarci su come poter recuperare gli aumenti subiti.

Da alcune settimane è scattato l’allarme siccità. Può creare problemi per quanto riguarda la disponibilità di frutta e verdura?

Non sono da escludere delle criticità, ma al momento non stiamo registrando alcun tipo di problema.

Nel frattempo per aiutare i consumatori finali sarebbe utile la riduzione dell’Iva sui beni di prima necessità che chiedete da tempo. Avete avuto qualche riscontro in merito?

L’ho richiesta ancora, so che ne stanno parlando. Personalmente sono un po’ sfiduciato sul fatto che si riuscirà ad approvare questa misura.

Eppure, considerando che il gettito Iva sta aumentando, si potrebbe diminuire l’aliquota senza dover recuperare altrove le risorse necessarie…

Certo. Con l’aumento inflattivo per l’erario è un gioco quasi a somma zero, non ci rimette. Stiamo chiedendo di intervenire su una parte dell’aliquota relativa ai beni di prima necessità, pari al 4%, quando l’inflazione è ormai all’8%

Se si sta intervenendo sui carburanti e sulle bollette, è un po’ assurdo che non lo si faccia sui beni di prima necessità, tra cui il cibo.

È effettivamente un intervento che ha una sua logica, ma ho minor fiducia rispetto a qualche settimana fa sul fatto che possa passare. A me piace questo Governo, ma continuiamo a vedere che è concentrato su altro.

Anche sulle altre due richieste, il taglio del cuneo fiscale e l’inserimento delle aziende della distribuzione tra i settori energivori, visto che devono garantire la catena del freddo, non avete avuto riscontri?

Tutto tace. Per questo sono un po’ sfiduciato. Peraltro anche a livello confindustriale c’è stata la richiesta di riduzione del cuneo fiscale per dare un po’ più di potere d’acquisto ai lavoratori, ma non si è mosso nulla, non rientra tra le priorità. Io non mollo nella continua richiesta, ma c’è un po’ di amarezza nel constatare quanto tempo sta passando senza che vi siano riscontri concreti.

(Lorenzo Torrisi)

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